La somatizzazione nel processo analitico – Claudia Pacheco

Durante l’analisi la somatizzazione può persino essere l’espressione di una resistenza alla coscientizzazione. All’inizio della cura, se la persona opera una forte censura al sentirsi più umana e al prendere coscienza dei suoi errori e dei suoi misfatti, potrebbe apparire il desiderio di lottare contro ciò che il soggetto sta comprendendo e causare quindi dei sintomi come un raffreddore, mal di testa, dolori, crisi di bronchite e persino provocare degli incidenti.
La signora L.M., cliente del dott. Keppe, cominciò un’analisi con tre sedute alla settimana. Dopo qualche settimana, ebbe una crisi alla vescica (aveva già sofferto di calcoli nel passato). Ripresa l’analisi, dopo qualche settimana di convalescenza, ebbe uno slogamento al piede, e fu costretta a fasciarlo.
Tutto questo può sembrare una coincidenza, ma la signora L.M. aveva sempre goduto di buona salute. Divorziata, madre di un figlio trentenne, andò dal dottor Keppe perché disperata. Dopo qualche anno, suo figlio la lasciò per andare a vivere col padre. Si sentiva abbandonata e vittima di un’ingiustizia dopo “tanti anni di dedizione e di attenzioni”.
Seguendo l’analisi, cominciò a capire che suo figlio non aveva via di scampo eccetto quella di andare via da lei a causa della sua aggressività, della sua voglia di dominare, aspetti del tutto spiacevoli. Capendo ciò la paziente reagì somatizzando e ritirandosi per qualche tempo in un letto di ospedale, dove sperava di mettere a tacere i suoi problemi.
Quando riprese l’analisi, fu necessario comprendere che la sua malattia era una fuga dinanzi alla coscienza della sua situazione alla quale era pervenuta nelle ultime sedute – fu così che uscendo dalla clinica, ebbe una slogatura che le fornì la scusa per saltare qualche seduta.
Un altro caso degno della nostra attenzione è quello di un paziente americano che il dottor Keppe ricevette nel suo studio di New York. Era un uomo di circa 35 anni, che aveva seguito terapie psicanalitiche per più di quindici anni.
Leggendo l’opera del dottor Keppe “Glorification” fece suoi gli argomenti principali del libro e tutte le spiegazioni che vi erano descritte (teomania, inversione, invidia ecc.). Diceva di sentirsi estremamente invidioso del dottor Keppe in quanto aveva scoperto tutto ciò – così semplicemente – e di aver dato una spiegazione, altrettanto chiara, alla sofferenza di tutta la sua vita. “Preferisco continuare a pensare che i miei fantasmi siano veri, anche se so che non è così, perché almeno sono miei”, disse sorridendo alla fine della terza seduta.
Durante i giorni che seguirono, somatizzò e provò forti dolori su tutto il corpo. Tuttavia, è importante che la persona sia inflessibile durante il cammino verso la coscientizzazione, poiché questi sintomi non presentano alcun pericolo e tendono a sparire rapidamente se vengono analizzati. Passeggeri e superficiali, appaiono molto raramente, quando il paziente mostra una grande resistenza di fronte a ciò che ha scoperto in se stesso.

MALATTIA PSICOSOCIALE

Molte persone mi chiedono se si può dire che le malattie causate da situazioni artificiali nel lavoro, come nel caso dei minatori, o dalla mancanza di condizioni igieniche e di alimentazione di base, come nel caso dei paesi sottosviluppati, dove la promiscuità è molto diffusa, oppure le malattie iatrogeniche (quelle provocate dai medici, dalle medicine, dagli ospedali), abbiano anch’esse origine nell’individuo.
Affermo di nuovo che le malattie sono direttamente o indirettamente provocate dalla teomania dell’essere umano. Per quali ragioni arriviamo a vivere in condizioni talmente caotiche dove facciamo della lotta per il potere, per il denaro, per il sesso, i principali obbiettivi della nostra esistenza, mettendo in secondo piano la salute, l’igiene e l’alimentazione?
Perché gli uomini, colpiti da una vera e propria paranoia collettiva, spendono così tanti miliardi in armi per difendersi dalla cosiddetta minaccia del nemico, ponendo in secondo piano le ricerche scientifiche che mirano a migliorare le condizioni di vita e di salute sulla Terra?
Perché molte persone nascondono delle vere e proprie fortune in oro o in pietre preziose, sotto terra o in banca, mentre i minatori devono trascorrere tutta la vita a lavorare sotto terra affinché i loro fratelli possano mantenere le loro ricchezze?
Perché l’umanità si è allontanata dalla verità e dalla realtà a un punto tale da non sapere più distinguere e controllare i virus, i batteri, i parassiti e gli elementi chimici che sono elementi inferiori e molto più semplici di noi e quindi facilmente controllabili?
E che cosa dire allora dell’atteggiamento suicida di coloro che vivono nei pressi di località soggette a terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche come S. Francisco e Los Angeles, situate sulla faglia di sant’Andrea in California, che sono condannate a scomparire?
E che cosa dire dei pazzi che inquinano i nostri fiumi, i nostri mari, l’aria; dnneggiano la flora e la fauna provocando la morte dei loro simili? Tutto ciò è dovuto alla teomania dell’uomo che, a forza di voler essere un “dio”, finisce per agire come un demone, crea un vero e proprio inferno sulla terra e impone un’esistenza inumana fatta di privazioni, di fame e di malattie.
Numerosi sono coloro che attribuiscono a Dio e alla natura la responsabilità delle condizioni di vita attuali, invece di accusare la megalomania sfrenata dell’essere umano che vuole, ad ogni costo, vivere con i suoi fantasmi.
L’uomo ha voluto dominare perfino Dio e la Vita e ha finito col farsi dominare da esseri minuscoli come, ad esempio, i virus. Potremo in realtà beneficiare di condizioni più che sufficienti per gioire di una vita estremamente sana, praticamente senza malattie, con una perfezione psico-fisica nettamente superiore.
Per questo scopo basterebbe che prestassimo attenzione a noi stessi e che prendessimo coscienza della nostra teomania, del nostro odio e di tutta l’invidia che proviamo nei confronti di Dio, della vita e dei nostri simili (è questo che ci riduce alla condizione di demoni umani), per poter di nuovo vivere con dignità le meraviglie per le quali siamo stati creati.

Chi è il vero medico delle anime? – Claudia Pacheco

Gli unici capaci di curare le malattie animistiche (malattie provocate da problemi emotivi) sono le persone che, avendo una profonda conoscenza della loro problematica psicologica, accompagnata da una grande tenerezza e da una vera onestà, cercano di aiutare i loro pazienti a coscientizzare la loro patologia, affinché attraverso questo processo, essi possano realizzarsi con l’aiuto della verità e della sanità presenti in loro.
Questa relazione, che possiamo chiamare Medicina delle Anime e del Corpo, può essere ottenuta solo da individui che si sono avvicinati a Dio grazie all’umiltà e alla coscienza dei loro errori e dei loro problemi. È inutile quindi che lo psicanalista abbia ottenuto numerosi diplomi e titoli poiché la razionalizzazione è tipica degli individui arroganti che non riescono mai a guidare i loro pazienti sul cammino della coscientizzazione, cioè della guarigione.
Come può uno psicanalista far accettare a qualcuno la coscienza dei suoi difetti, della sua malattia, della sua follia, se persino egli stesso non ammette l’esistenza dei suoi problemi e, addirittura, è più squilibrato del suo paziente?
Il dottor Keppe dice spesso che il miglior psicanalista è quello che si vede più malato del suo cliente poiché, in questo modo, riesce ad essere più umile e si interroga su qual è il miglior modo di alleviare la sofferenza del suo simile.
L’individuo arrogante è freddo, sprovvisto di tenerezza e tratta il cliente come un oggetto: è freddo e aggredisce la coscienza del suo cliente e provoca di frequente in quest’ultimo un aumento “dell’autocensura”, aumentando così la sua sofferenza e, allo stesso tempo, i suoi sintomi patologici.
Quando il dottor Keppe lavorava all’Ospedale Das Clinicas, notò in alcuni professori, una volontà di difendere i loro interessi professionali, volontà superiore a quella di ottenere dei buoni risultati con i loro pazienti al fine di onorare la vera scienza.
I malati ottenevano spesso un importante recupero grazie alla Psicanalisi Integrale e spesso, grazie a sedute di psicanalisi di gruppo. In una di queste cliniche, il dottor Keppe ha incontrato fino a 80 clienti di cui 60, nel corso delle prime settimane, riuscirono a recuperare totalmente, senza l’aiuto di medicine.
Ciò che accadde in seguito è molto sorprendente, ma rivela le vere aberrazioni che si riscontrano in molti ospedali e in molte comunità scientifiche nel mondo: il responsabile di questa clinica chiese al dottor. Keppe di interrompere il suo lavoro, poiché la Cattedra della Facoltà di medicina ed i suoi allievi non avevano alcuna ragione di essere senza quei malati. Come avrebbe fatto senza più pazienti da curare e sui quali effettuare ricerche per l’applicazione e per l’orientamento allopatico delle cure mediche tradizionali?
Così era quindi impossibile sovrapporre l’attività di trilogista (psicanalista integrale) ad una professione o ad uno “statuto accademico”.
Il Trilogista non dovrà sottomettersi a nessuna legislazione professionale che provenga dalle autorità governative o da istituzioni. Lavorare con la verità esige un atteggiamento etico interiore di colui “che cura”; ciò non deve mai essere una maschera esterna. Un individuo senza titolo universitario potrà quindi, in determinate circostanze, essere un medico dell’anima migliore di un dottore con diplomi e specializzazioni.

La terra è un immenso ospedale psichiatrico – Fabio Biliotti

Un’affermazione di Norberto Keppe, apparentemente assurda, ma in realtà scientifica e pertanto vera. Le intuizioni positive dello psichiatra italiano Franco Basaglia.

“Mi sento obbligato a riconoscere che abitiamo in un immenso ospedale psichiatrico, colmo di malati, compresi gli specialisti che li curano… non esiste alcuna persona che non sia portatrice di qualche squilibrio mentale in maggiore o minor grado e, se tale situazione non verrà rapidamente coscientizzata, dovremo perdere la speranza di vedere la continuazione della nostra civiltà… La coscienza più urgente che dobbiamo avere è quella della situazione nevrotica dell’umanità, poiché viviamo in un pianeta-sanatorio dove, non solo il popolo, ma principalmente i suoi dirigenti, soffrono, in maggior o minor grado, di problemi alle facoltà mentali… scrivendo questo incorro in due tipi di conseguenze: la prima, e più acuta, è la rabbia che risveglierò in tutti quelli che si credono perfetti… e la seconda è la sfiducia di quelli che sono più equilibrati, ma che non hanno mai prestato attenzione ai fattori psicologici…”

Così si esprime Norberto Keppe nel suo ultimo libro che ha per titolo “Terra il Pianeta Illusorio”, ma che, come dice lo stesso Keppe “…potrebbe essere anche intitolato: Terra il Pianeta Artificiale; Terra il Pianeta Irreale; Terra il Pianeta Malato, Addormentato, Infermo, degli Ipocriti, Indesiderabile e, perfino, Inesistente, Superfluo, Inutile; insomma qualsiasi epiteto negativo potrebbe essere applicato a questa enorme sfera che gira nello spazio portando questo incredibile carico di esseri umani impazziti”.

Sono parole forti, apparentemente frutto di durezza, di scetticismo, di pessimismo, ma che in realtà, sono il frutto di un amore vero per l’umanità. In questo libro Keppe cerca di mettere in guardia sulla necessità, per gli individui, di coscientizzare questa patologia universale che colpisce il genere umano e che rischia di portarlo alla catastrofe e a sofferenze inenarrabili.

Chi ha a che fare, quotidianamente, come gli psicanalisti trilogici, con persone apparentemente del tutto normali (e comunque sicuramente molto più equilibrate di tanti che non ritengono di aver bisogno di un’analisi per conoscere le proprie patologie), si rende conto che questa attitudine patologica di autodistruzione è presente in tutti (in misure diverse naturalmente), e nessuno ne è immune. La responsabilità di queste persone inconscientizzate è quella di non volersi rendere conto del male che fanno a se stesse e alla società, contribuendo, fra le altre cose, a lasciare la strada libera all’affermarsi dei soggetti peggiori nel governo e nell’amministrazione della cosa pubblica e dell’economia.

Le ragioni che dimostrano come sia inderogabile e necessaria questa presa di coscienza, stanno davanti ai nostri occhi ogni giorno, a partire dai comportamenti quotidiani di tutte le famiglie, dove nascono sempre più difficoltà di relazione tra genitori e figli che spesso sfociano anche in efferati omicidi, o dai comportamenti sociali in cui balza sempre più evidente la rabbia e la violenza della massa, dalle manifestazioni sportive a quelle di rivendicazione sociale, o dai comportamenti degli stati che fanno esplodere guerre in tutto il pianeta, con il falso scopo di debellare il terrorismo, ma in realtà con il fine di affermare un potere ed espandere la propria influenza economica.

Se gli individui non volessero essere così ciechi, se non si rifiutassero di osservare meglio dentro se stessi, si accorgerebbero che questo nostro pianeta è regolato da comportamenti patologici, malati, estremamente distruttivi.

Questo atteggiamento di censura alla nostra coscienza ci porta spesso a crearci alibi giustificatori e a proiettare le nostre patologie sugli esseri più deboli che soccombono e che sono oggetto di una vera e propria persecuzione e di una separazione dal resto della società. Ciò succede anche nel microcosmo di una famiglia, quando, per non vedere le proprie patologie, i propri difetti, i propri errori, le proprie attitudini negative e corruttrici, si concentra la proiezione di tutto ciò sull’individuo più debole della famiglia e lo si spinge verso una separazione alienante; distruggendo così, non solo la vita di quell’individuo, ma anche quella di tutta la famiglia.

Da tutto ciò è nata l’esigenza, nel corso della storia, di istituire strutture segreganti come i manicomi e, nel migliore dei casi, di intervenire con atti di separazione della società “sana” dai cosiddetti “malati”, ricorrendo a pratiche psichiatriche che sono state e, in gran parte lo sono ancora oggi, pratiche alienanti e distruttrici della dignità umana.

Non si vuole ammettere che ognuno di noi deve prendersi cura del proprio equilibrio psicologico: lo deve fare il figlio schizofrenico, psicotico o “border line”, ma lo devono fare anche la madre e il padre che quel figlio hanno allevato e i fratelli e le sorelle che si fanno scudo del loro congiunto per vedere ignorate le loro patologie apparentemente meno gravi; e lo devono fare anche quegli psicanalisti che li prendono in cura. Finché ognuno di noi ricorrerà a questa censura della coscienza, saremo portati a non comprendere i disagi degli altri e a ritenere giusto il ricorso a strutture che difendano la cosiddetta “società civile sana”.

Ma queste strutture, vere e proprie prigioni, riducono l’essere umano che vi è ospitato a una cosa, un oggetto privo di ogni diritto e di ogni futuro. Nessuno rinchiuso lì, ne è mai uscito migliorato.

Questa coscienza fu percepita da un grande psichiatra italiano, Franco Basaglia, che comprese già 30 anni fa l’inutilità, anzi la funzione deteriore, dei manicomi “odiosa alleanza tra una giustizia ingiusta ed una medicina deteriore.

“L’istituzionalizzazione – come mi disse Basaglia in un’intervista che gli feci nel 1977 – crea sempre un’oppressione, perché essa risponde esclusivamente ai bisogni di se stessa e considera il soggetto affidatole alla stessa stregua di un oggetto: si tratta di una vera e propria mercificazione”.

Per Basaglia il malato di mente, il “matto”, doveva uscire dalla sua prigione che in fondo non faceva altro che istituzionalizzare e razionalizzare la sua malattia rendendola irreversibile.

“Certo – diceva già allora Basaglia dimostrando grande intuizione – Il ‘fuori’ non è preparato e tantomeno organizzato ad accettare il ‘dentro’, perché la gente di fuori si considera del tutto normale in quanto riesce a produrre e, di conseguenza, non accetta chi si pone come ostacolo a questo schema di società”.

Il “matto” dunque per Basaglia è molto spesso tale perché non corrisponde ad una certa organizzazione del lavoro. Ma è proprio questa organizzazione del lavoro, sulla quale si basano le società cosiddette avanzate, che ha sempre creato e crea le sue vittime: primi fra tutti i disoccupati che si vengono immediatamente a trovare nella posizione di “diversi” loro malgrado. Basaglia intuiva, sebbene ancora non del tutto chiaramente, che la soluzione del problema, non doveva e non poteva passare attraverso altre istituzionalizzazioni segreganti, ma attraverso una diversa organizzazione globale della società dove i “malati di mente” potessero socializzare il loro malessere, il loro disagio e le loro sofferenze che, è poi l’esigenza di ogni essere umano.

“Un soggetto – diceva Basaglia – afferma che i cani volano? E va bene che i cani per il momento volino pure! Ma egli ha oltre a quello, altri problemi che vanno ricondotti alla loro dimensione sociale. Occorre esaminare insieme quei problemi e insieme discuterli. Occorre comunque che il ‘malato’ si senta soggetto attivo e non merce scaricata in un posto in attesa che qualcuno, dall’esterno, lo restauri senza la sua diretta e consapevole partecipazione”.

Naturalmente le persone si aspettano sempre che qualcuno trovi delle soluzioni alternative che le scarichino delle loro responsabilità dirette, e non vogliono capire che non esistono soluzioni al di fuori dell’assunzione diretta di responsabilità, non esistono soluzioni alternative all’impegno diretto di ognuno di noi a saper trattare le proprie e le altrui patologie: questo modo passa inesorabilmente attraverso la coscientizzazione, prima di tutto, delle nostre patologie e attraverso un nuovo tipo di interrelazione personale e sociale.

“So – diceva Basaglia – che il pubblico si aspetterebbe una soluzione alternativa precisa, ben delineata e predeterminata in tutto, separandosi dalle problematiche dei cosiddetti ‘malati mentali’ e censurando la coscienza che si tratti invece di qualcosa che ci riguarda tutti. Io con il gesto di chiudere il manicomio di cui ho la responsabilità, ho voluto solamente obbligare la società nel suo complesso a prendersi carico di un problema che deve essere risolto in altro modo”.

Basaglia volle dunque con quel suo gesto, pur di fronte alla consapevolezza che la società cosiddetta “civile” non era pronta, avviare una presa di coscienza collettiva del fatto che era profondamente sbagliato l’atteggiamento di una comunità che rinchiudeva il “diverso” per non voler vedere le proprie patologie. Continuare in quel modo per Basaglia non sarebbe stato solo inutile, ma del tutto errato sotto tutti i punti di vista ad incominciare dal punto di vista scientifico. Per Basaglia la gente, gli operatori del settore e le istituzioni governative ed amministrative dovevano essere messe concretamente di fronte al problema da risolvere: “solo in questo modo – egli sostenne – potrà affermarsi una nuova professionalità del medico, la gente potrà mutare la visione che ha e tutto potrà progredire”.

Tre erano per lui gli elementi importanti in questo processo: la socializzazione della vita ad ogni livello, la conservazione della salute per tutti e il considerare le malattie come prodotti storici; questi tre elementi dovevano condurre all’obbiettivo centrale che era quello di combattere un’ideologia dominante che costituiva la fonte dei mali peggiori dell’attuale società.

Si trattava come si vede di buoni presupposti dai quali scaturivano buone intenzioni, ma mancava una base teorico-scientifica della psicopatologia e della sociopatologia, mancava la coscientizzazione di un’attitudine generalizzata “universale” come la definisce Keppe che è quella dell’Invidia che spinge l’individuo ad opporsi al bene e scegliere il male. E infatti, se si va a vedere, gli sviluppi del gesto di Basaglia, ci rendiamo conto che la società patologica, con i suoi individui patologici, ha praticamente annullato i benefici di un gesto come quello di Basaglia. È vero infatti che, da quel gesto, fu approvata una legge nel Parlamento Italiano che chiuse tutti i manicomi, ma, lo stesso Parlamento, non dette poi la giusta risposta alle intuizioni di Basaglia, reintroducendo una forma più edulcorata di “manicomi”, le cosiddette “case famiglia” che, sebbene inserite nel contesto urbano “normale”, ospitano comunque solamente persone “malate”, perpetuando una forma di separazione più attenuata, ma sempre di separazione. Infatti in quei condomini in cui queste “case famiglia” sono inserite, la “gente normale” si lamenta, chiede delle garanzie di sicurezza e pretende che vi sia una sorveglianza di personale specializzato, 24 ore su 24.

Inoltre a questi “malati” non si fa fare un percorso di analisi che renda possibile una coscientizzazione che li riporti al contatto con la loro coscienza e quindi con la realtà

. La vera soluzione sta invece nel creare in tutti gli individui più o meno malati, la coscienza delle loro patologie che li renda capaci di comprendere le patologie degli altri e di arrivare ad accettare e a sapersi relazionare con tutti gli individui anche se “difficili” e “problematici”. Ciò accade nei gruppi trilogici, composti da persone di varie provenienze sociali, culturali, nazionali, da varie persone più o meno patologiche, fra le quali vi si trovano individui, psicotici, schizofrenici, che però sono messi in grado di svolgere attività produttive nel contesto sociale e vivono con tutti gli altri senza alcuna discriminazione e senza alcun controllo specializzato, se non quello di tutta la comunità coscientizzata. I gruppi trilogici sono l’embrione di ciò che dovrà essere l’attitudine dell’individuo di domani: un individuo che abbandoni il criterio della selezione delle persone da frequentare (criterio che finisce per spingere l’individuo verso l’alienazione dalla realtà), ma che accetti di vivere in totale parità con tutti gli altri.

Se ci pensiamo bene infatti vediamo chiaramente quello che la gente fa oggi, senza rendersene conto: va alla ricerca delle persone che assecondino le loro patologie e perciò evitano tutti quelli che, in qualche modo, li metterebbero in contatto con le proprie patologie che non vogliono vedere. Nei gruppi trilogici invece le persone, al di là delle rispettive differenze e i rispettivi gradi di patologia, imparano a convivere insieme, anche a persone che, generalmente, nella società esterna verrebbero evitate e allontanate. Questo perché, nei gruppi trilogici le persone hanno imparato a vedere i propri limiti, i propri errori, i propri difetti, le proprie attitudini negative e distruttive e sono quindi più in grado di tollerare, o meglio, di accettare quelle degli altri.

Per arrivare a questo è necessario comprendere, come dice Keppe, che: “la coscienza più urgente che dobbiamo avere è quella della situazione nevrotica dell’umanità…”. Coscientizzare questo aspetto è fondamentale per tutti gli individui e per la società nel suo complesso se si vuole disinvertire il processo distruttivo verso il quale il mondo si sta avviando.

La manipolazione attraverso la musica – Fabrizio Biliotti

UN PODEROSO MEZZO DI COMUNICAZIONE

La musica è una forma di comunicazione e, secondo lo psicanalista, filosofo e scienziato sociale Norberto Keppe, nel suo libro Sociopatologia, tutta l’arte ha la funzione di calmare ed equilibrare la vita psichica perché una nuova modalità di esistenza venga accettata.

La musica è la più legata al sentimento ed ha anche la funzione di condurre l’essere umano alla bellezza, è una comunicazione universale, capace di trasmettere sentimenti a chiunque, indipendentemente dalla nazionalità o dalla cultura.

“il senso dell’estetica è l’elemento fondamentale di contatto dell’essere umano con la verità”, afferma Keppe. Però, non accade sempre così con l’arte, principalmente con la musica. Alcuni esempi si incontrano nella musica pop, nel rock e in altre musiche con strutture aggressive o perfino in alcune musiche erudite che non hanno la preoccupazione di portare l’essere umano a contatto con la verità.

La musica è un poderoso mezzo di comunicazione in quanto è legata al sentimento ed è capace di trasportarci in un mondo più elevato – più grande dello stato in cui si vive. Questo accade sempre o, perlomeno, quando si ascolta una musica “bella”. Per questo motivo, la musica è anche un’arma, perché può toccare le persone e muovere il loro interiore. E, una volta che la musica crea delle fantasie nelle persone, è capace di deturpare la realtà: la fantasia è proprio la deturpazione della realtà nel senso che crea una falsa realtà.

 

LE PERSONE SONO VULNERABILI ALLA MUSICA
La capacità della musica di creare fantasie rende le persone vulnerabili, principalmente perché i musicisti e le persone responsabili della sua creazione, non sempre, sono coscienti o responsabili al punto di considerare i rischi e le possibilità buone o cattive che una musica può causare.

Questo rischio è grande se consideriamo che il 90% di noi sono incoscienti (della formazione psichica di ogni individuo) e questa incoscienza condiziona molto la nostra esistenza; ossia, la nostra vita è guidata da intenzioni interne (incoscientizzate) che esistono anche se non vengono percepite.

È necessario considerare anche che l’essere umano è invertito – cieco verso le cose buone e disposto per le cose cattive.

Secondo le ricerche di Keppe, l’essere umano ha ridotto la sua vita al sensorialismo: il mondo dei piaceri e delle voglie. Il sensorialismo può essere diviso in tre categorie descritte come segue:
Vita sensoriale
Questa vita sensoriale domina la vita psichica che è: amore, ragione e bellezza (estetica), così, il minore domina il maggiore, il secondario si pone sopra il primario.
1) Oralità – piacere delle vie orali: droghe, bevande, alimentazione ecc.
2) Analità – piacere anale che è soddisfatto con il danaro, il potere, la distruzione ecc.
3) Genitalità – piacere legato alla sessualità che è soddisfatta dal sesso, dal piacere, dal romanticismo, dall’alienazione ecc.

 

 

LE IMPRESE VOGLIONO VENDERE A QUALSIASI COSTO
Siccome le persone vivono nel mondo sensoriale, il mondo imprenditoriale è al servizio dello stesso mondo sensoriale per finanziarlo e mantenerlo – perciò le imprese sono formate da persone sensorialiste. Pertanto le grandi corporazioni che comprano i mezzi di comunicazione e i media in generale (TV, Radio, giornali, riviste ecc.) non le acquistano e le dirigono per fare il bene, non sono coscienti. Lo stesso accade nelle imprese dell’industria discografica (case discografiche che lanciano artisti e producono CD). Queste imprese (nei più diversi settori) sono interessate solamente al fare la promozione dei loro prodotti per vendere di più e per questo sono capaci di alienare il popolo, impedire la cultura e perfino distruggere. Le principali imprese che controllano i media mondiali sono Aol Time Warner, Disney, Bertelsmann, Viacom e News Corporations.

 

 

COMPORTAMENTO INDOTTO DALLA MUSICA
Una ricerca dello Iowa State University divulgata il 4 maggio 2003, ha dimostrato che le musiche con parole che parlano di violenza stimolano i sentimenti ed i pensieri aggressivi custoditi nell’inconscio delle persone. Nella ricerca sono stati testati vari tipi di musica, indipendentemente dal ritmo strumentale, e in tutte è risultata comprovata l’influenza nociva all’inconscio quando le loro parole si riferivano ad atti violenti.

Altra ricerca interessante è stata realizzata dalla Sheila Davis, della New York University. La Davis ha valutato 700 canzoni di Hard Rock e Heavy Metal (derivazione del rock) ed ha constatato che il 50% trattava di omicidi, il 35% di satanismo e il 7% di suicidi. Un grande esempio di musicista che si serve di tutti questi temi distruttivi nelle sue canzoni, è l’americano Marilyn Mason, con fans in tutto il mondo, principalmente giovani. Altro esempio è il rockettaro Ozzy Osbourne che ha perfino un programma televisivo sullo stile del Reality Show (un Grande Fratello per intenderci), con una telecamera in casa sua che mostra la sua quotidianità con la famiglia, però, le sue parole non hanno niente di buono per migliorare la vita delle persone.

Musiche di questo tipo non servono a liberare, ma ad alienare. Non portano l’essere umano verso la verità. Keppe, nel suo libro Terra, il Pianeta Illusorio, dice che, in generale, l’essere umano vuole essere libero solamente di essere pazzo.

Keppe afferma che “La tanto agognata libertà (simbolo di democrazia moderna) viene intesa, dagli individui più patologici, come la possibilità di fare quello che si vuole, perfino contro se stessi e il prossimo. Sappiamo che la sanità è proprio il contrario, ossia, porre limiti alla proprio condotta di autodistruzione o di distruzione degli altri”.

Entropia Psichica – Markku Lyyra

L’ESSERE UMANO, FINO AD OGGI, NON È RIUSCITO A COMPRENDERE ED ACCETTARE IL PARADISO

Molti autori antichi, fra di essi Milton, hanno scritto sopra l’esistenza nel passato di un luogo bello e perfetto, un paradiso perduto. Abbiamo un altro esempio conosciuto da tutti noi che si trova nella Bibbia, in cui si parla dell’Eden, popolato da Adamo ed Eva che vivevano in armonia tra di loro e con gli altri animali: il Paradiso.

Questi autori credono che Dio creò qualcosa di buono e che l’uomo, a causa delle sue attitudini egoiste, ha incominciato a distruggere questa opera. Gli scienziati a loro volta credono che Dio abbia creato qualcosa di non buono e che con il tempo si sarebbe perfezionato e migliorato, si tratta dei cosiddetti evoluzionisti.

L’essere umano, a causa della sua inversione, non accetta di concepire il Paradiso come qualcosa di veramente buono da essere desiderato. Possiamo notare questo nei vari dipinti in cui il Paradiso è ritratto sempre con persone contemplative, senza azione e perfino annoiate. È come se il Paradiso, e dobbiamo intendere qui come la ricerca della perfezione, fosse qualcosa di “piatto” e senza valore, in quanto non coscientizziamo che ciò che è buono è anche “stimolante”.

ENTROPIA
Possiamo dire che l’Entropia è la decomposizione, disorganizzazione e corruzione di quello che fu creato perfetto, poiché essa è l’inversione che lo psicanalista, filosofo e scienziato sociale Norberto Keppe ci ha presentato con la sua teoria della psicosociopatologia. Secondo lui, noi nasciamo già sapendo quello che è giusto, però, a causa della nostra incoscientizzazione e della nostra tendenza autodistruttiva, tendiamo a distruggere il bello.

Un esempio per illustrare questa teoria può essere rappresentato da quella persona che rispetta i suoi genitori, i suoi professori e affronta le sue responsabilità. Essa è vista dai più come una “vacchina da presepio”, senza azione né volontà. Ciò mostra che nel mondo fisico tutto si logora e finisce, mentre nel mondo psichico crediamo di sapere tutto e di essere migliori degli altri.

Oggi, non si parla già più di virtù (coscienza) e crediamo che essa sia solo pder i santi, gli idealisti, gli artisti, i leaders ecc.

TEMPO E SPAZIO
Quando entriamo nell’Entropia sentiamo la sensazione di “tempo” e “spazio” che non sentivamo prima, quando eravamo bambini. In seguito quando diventiamo adulti restiamo impigliati in ambedue le dimensioni, per questo non riusciamo a concepire qualcosa che non sia compresa nel tempo e nello spazio, come Dio (eterno e infinito).
Se pensassimo che il passato non esiste più, poiché già è passato; che anche il futuro non esiste, perché ancora non si è realizzato e che anche il presente, “l’ora”, è già passato, percepiamo che il tempo realmente non esiste. Ma l’essere umano ha perso questo “stato dell’esistenza” ed è rimasto preso nel tempo per mezzo della sua coscienza ed ha perfino creato oggetti per garantirsi questa prigione, come gli orologi, i calendari ecc.

EVOLUZIONE O DECADENZA?
Sarà vero che l’uomo sta evolvendo? Come abbiamo già visto, gli evoluzionisti credono che l’essere umano sia sempre in evoluzione, per, se osservassimo attentamente vedremmo che i mutamenti vanno sempre verso il “peggiore” – l’uomo “perfetto” in un mondo “perfetto” (il Paradiso) è in decadenza.
S’immagini che cosa un extraterrestre (di un altro pianeta) penserebbe dell’essere umano, arrivando sulla terra e osservando certe attitudini umane alquanto strane:

– Quello che fa bene agli esseri umani è l’aria, ma essi respirano boccate di fumo da una cartina arrotolata (sigaretta).
– Devono liquidi che non nutrono il corpo e lasciando le persone stordite (bevande alcoliche).
– Si prendono cura dei figlioletti quando sono piccoli e poi, in età adulta, li uccidono inviandoli alle guerre.
– Si muovono sempre dentro delle scatole (auto).
– Tutti vivono solamente per guadagnare una manciata di fogli di carta (denaro).
– Utilizzano alcune sostanze che non alimentano il corpo e che, oltre a lasciare la persona senza sentimenti, distruggono gli organi (droghe).
– Molti dicono di amare un Dio di amore (che creò tutto), ma distruggono tutto e si uccidono gli uni con gli altri in nome di questo Dio (fanatismo).

VITA PSICHICA SQUILIBRATA
La Vita psichica dell’essere umano per essere equilibrata si deve orientare verso la ragione e i sentimenti, però, molto presto (nell’infanzia) è già dominata dai sensi e dai desideri. Partendo da questo pensiero, riconosciamo tre fasi dello sviluppo umano:

1) Orale, da 0 a 2 anni di vita;
2) Anale, dai due anni ai quattro anni di vita;
3) Genitale, dai 4 ai 6 anni di vita – dove predomina l’alimentazione sulla salute, il denaro sul lavoro e il sesso sull’amore.

Secondo Keppe, le malattie dell’essere umano sono motivate dal dominio del sensoriale sullo psicologico. Quando la persona vive in questa maniera (e la maggioranza vive così) essa lascia di essere “un essere” (quello che si intende per essere) e diventa il “non essere” Keppe afferma che l’essere umano sta in decadenza in tutto perché si trova nel cammino del sensorialismo (vedi il libro Terra il Pianeta Illusorio).
Oggi non si parla più di virtù (coscienza), chi la praticava sul serio nella propria vita erano i santi, gli idealisti, gli artisti, gli scienziati, i leaders ecc.

ATTO PURO
In un’altra delle sue opere (libro Metafisica 1) Keppe parla dello “atto puro” – fare quello che dobbiamo fare e non avere l’idea che sia “noioso” e che in questo modo si diventi una “vacchina da presepio”. “L’atto puro” sviluppa la spiritualità, l’arte, la scienza, il lavoro e la virtù dell’essere umano.

Gli esseri umani devono risvegliare la loro coscienza e percepire che seguendo il sensorialismo non avremo modo di progredire e porteremo il pianeta alla distruzione.

Fondamenti della Psicanalisi Integrale – Norberto Keppe

Presentazione del libro “Psicoterapie alienanti”

La scienza moderna ha prodotto un tipo di terapia che si è dimostrata utile, ma molte volte anche perniciosa, nel trattamento dell’essere umano. Il popolo, generalmente, si sottopone ad essa, come ultima spiaggia – dal momento che non c’è altro mezzo per curare quelli che non riescono a stare ragionevolmente bene nella società. E, parlando di psicoterapia, il grande nome che balza subito evidente, è quello di Sigmund Freud, il creatore della psicanalisi. Prima c’erano alcune imitazioni di analisi, predominando metodi magici, il cui prototipo fu il mesmerismo (magnetoterapia). Il genio austro-giudaico demistificò tali processi iniziando un lavoro serio sulla vita psichica. Però, più tardi, elaborò sue ipotesi, dando la preminenza alla teoria della Libido, che fu il suo grande disastro. Il lettore potrà verificare questo fatto nell’articolo elaborato dalla dott.ssa Claudia Pacheco.

Con il tempo, il popolo notò che la Psicanalisi, ortodossa o no (Melanie Klein, Wilfred R. Bion, Wilhelm Reich, i culturalisti, la Scuola di Frankfurt, Jung, Adler, Lacan, Foucault, ecc.), si è dimostrata insufficiente nel trattamento dell’uomo. Allora sorsero altri metodi e teorie, fra i quali possiamo citare la transazionale, la gestal-terapia, per non parlare della vecchia riflessologia ispirata da Pavlov e del behaviorismo americano ed europeo.

La maggior parte di questi autori però, dimenticò che il grande contributo di Freud alla scienza è stato nel campo della metodologia, e non delle ipotesi teoriche – e si attaccarono proprio alle sue teorie.

La Psicanalisi Integrale è stata elaborata nel corso di ventiquattro anni (oggi quarantaquattro n.d.r.) di lavoro, in Brasile e in Austria (Vienna), e completata all’inizio del 1980. Tale evento ha coinciso con la venuta del prof.. Arnold Keyserling in Brasile, che si entusiasmò del nostro lavoro e lo portò negli Stati Uniti ed in Europa – dove venne poi presentato innanzitutto nella città di Darmstadt (20.07.1980), vicino a Frankfurt, in Germania, in seguito in Austria ed infine in Svizzera. In ottobre di quell’anno facemmo parte del Club di Helsinki, come formatori per l’orientamento del settore sanitario.

La Psicanalisi Integrale ha iniziato ad esistere come scienza diversa dalla psicanalisi tradizionale, con la percezione del processo di inversione, avvenuta nel 1977 – più precisamente nel mese di settembre di quell’anno. A partire da questa scoperta, siamo passati a rivedere tutti i postulati delle scienze psicoterapeutiche, arrivando a una totale riformulazione dei loro lavori. E il più importante di tutti fu quello della considerazione della eziologia della psicopatologia.

Freud e i suoi discepoli considerarono sempre la malattia come conseguenza di elementi che un giorno furono repressi nell’interiore psicologico – che dovevano essere coscientizzati per non causare più nevrosi. Essi considerarono il malato come una specie di vittima di fattori estranei alla sua volontà. Come avrebbe potuto una persona soffrire di qualcosa già incoscientizzata?

Noi consideriamo la nevrosi come conseguenza di una attitudine di voler negare quello che sappiamo, tentando di incoscientizzarlo. E questa lotta per eliminare una coscienza produce il nostro stato di afflizione.

Nel suo aspetto tecnico, si nota che ogni persona confonde la visione con il fenomeno, per esempio: se io non mi accorgo che sono confuso, aggressivo e megalomane, ecc., ritengo di non esserlo. Questo è un fatto estremamente negativo, non solo in senso individuale, ma anche in senso sociale, che porta molti popoli verso una dittatura, a causa dell’estrema megalomania di non voler vedere i propri problemi, pensando di poter passare sopra di essi, senza conseguenze; ma essi, quando vengono nascosti, continuano evidentemente a peggiorare.

Il primo passo nella formazione della metodologia della Psicanalisi Integrale è stata la scoperta dell’attitudine di collocare al di fuori della vita psichica tutta la causa dei nostri guai. Per esempio: quando i giornali dicono che una determinata persona è stata vittima di un incidente automobilistico, e non che è stata lei che lo ha provocato. Altro esempio: “Una febbre fa impazzire il mondo: l’oro” (16.01.1980), e non che l’uomo diventa matto a causa della sua condotta rispetto all’oro.

Notavo che la maggioranza dei clienti pretendeva di scorgere i propri guai nel tipo di relazionamento che metteva in atto, sia con la moglie o il marito, con i figli, parenti e amici e, principalmente, con i genitori, fra i quali troneggiava la figura della madre. E, tanto la problematica quanto la cura, venivano sempre collocate in questo tipo di comportamento. Lo stesso Freud individuò il nocciolo delle perturbazioni nel famoso Complesso di Edipo, che sarebbe un genere di vita strettamente sociale(1). E, siccome la libido fu esaltata, si creò una disperazione nella possibilità di migliorare il relazionamento affettivo-sessuale , come indizio sicuro del recupero psicologico.

Non sarà difficile notare che tale desiderio colloca gli amici, i genitori e le altre persone in un circolo infernale di proiezioni e colpe dello psicanalizzando. E ancora, la cosa peggiore di tutte è che la cura implicherebbe sempre la collaborazione delle altre persone – tutto ciò io l’ho chiamata Psicoterapia Psicopatologica.

Dal 1968, osservavo in Melanie Klein la considerazione di due aspetti fondamentali e opposti nella formazione della vita psichica: il segno buono e il segno cattivo, l’invidia e la gratitudine, l’amore e l’odio, e così via – con l’ulteriore considerazione che fondamentalmente sarebbe il sentimento d’invidia la causa prima della patologia umana. Perciò, dovremmo sostituirlo con la gratitudine nel caso che volessimo ottenere l’equilibrio.

Tale scoperta è stata possibile grazie alla considerazione di un mondo interiore, ancora più bello, ricco e generoso, di quello esteriore – diremo l’universo parallelo, molto più fondamentale e importante del secondo.

Giungere a questa scoperta, la percezione dell’esistenza di una coscienza interna (oltre ad altri fattori) totalmente indipendente dalla nostra volontà, è stato solamente un passo in più. Si era costituita nella mia mente tutta la struttura fondamentale della vita psicologica.

È per questo motivo che le persone che ricercano la psicoterapia, confondono la coscientizzazione con le loro difficoltà, ciò che richiede molta perizia dello psicoterapeuta perché non abbandonino il trattamento.

In seguito, abbiamo verificato che l’individuo molto malato tenta di vivere più le fantasie che elabora che la realtà – come dice il detto: il nevrotico costruisce castelli in aria, lo psicotico dimora in essi e lo psichiatra riscuote l’affitto. Inoltre, la stessa verità era ritenuta come qualcosa di sgradevole, incomodo, che potrebbe essere tollerato con una buona dose d’immaginazione. A questo punto abbiamo fatto il congiungimento tra la scienza, la filosofia e la religione, verificando proprio il contrario.

Chi è molto malato, rifiuta la realtà con molta forza, vedendola come pesante ed inadeguata – praticamente desiderando ricrearla a sua proprio maniera e a somiglianza di se stesso. Questo è il motivo fondamentale di ogni tensione nella quale vive l’essere umano, poiché costruire l’esistenza, secondo la propria volontà, implica uno sforzo tremendo, inutile, doloroso e perfino comico – come è possibile rifare ciò che è già tanto magnificente?

Questa scoperta invade il campo della filosofia (ragione) e quello della religione (sentimento), ponendo l’uomo davanti alla decisione o di adottare un’attitudine patologica a causa del desiderio di costruire la sua stessa esistenza, l’universo e le cose – come se fosse un nuovo dio (Teomania) – o, al contrario, di accettare la verità, preesistente a se stesso, che tutto è buono, bello e reale.

Questo è il punto fondamentale dell’attitudine di megalomania iniziale, per la quale desideriamo essere il creatore, una teomania che fiorisce nell’interiorità di ogni essere umano, sovrabbondando nella società patologica nella quale abitiamo. Questa intenzione iniziale produce tutte le difficoltà nelle quali viviamo – poiché combattere contro la verità significa stare combattendo se stessi, in quanto siamo una realtà.

Quando ci poniamo in antagonismo a Dio (si dia il nome che si vuole), ci troviamo in una posizione di attacco contro la propria sanità (che è la realtà), tentando di sostituirla con la fantasia e l’immaginazione ( la malattia, l’irrealtà) – e questa attitudine potrebbe essere causata da un motivo abbastanza studiato da Melanie Klein, solamente nel campo della genitalità, e che noi poniamo in un motivo più nobile: l’invidia del Creatore.

A partire da ciò, tutto potrà accadere: che ci siano individui che si credono di essere un nuovo Napoleone, un Cristo, o anche un animale o un vegetale – perché essere uomini comporta di accettare quello che siamo, ma che non siamo stati noi ad organizzarlo. Ammettere di essere debitori al Creatore, ci sembra molto umiliante.

Nel suo aspetto più specifico, la Psicanalisi Integrale applica il processo che ha denominato dialettica – non di tipo platonico, hegeliano, ma socratico, cristiano. Consiste in ciò che segue: esiste un interiore psicologico, così come l’esteriore fisico o il sociale o anche il materiale, propriamente detto. In questo modo quando una persona parla di un fatto esteriore qualsiasi, sta parlando della sua attitudine psicologica. Supponiamo un processo di paralisi, di cecità, di difficoltà respiratoria, circolatoria ecc. rivelano esattamente gli stessi processi che creiamo nel nostro interiore, nella nostra psiche.

La Psicanalisi Tradizionale ha studiato sufficientemente la proiezione – che è l’attitudine di collocare fuori quello che sta dentro. Ebbene facciamo questo non solo con la patologia, ma anche con la sanità, creando una situazione sociale delicata – per il fatto di vedere o tutta la salvazione o tutto il pericolo, provenienti dalla società. I gruppi più malati sfruttano questo fenomeno per profitto economico e sociale.

Io credo che questa sia stata la grande spinta che abbiamo dato in senso terapeutico, nel rivelare che siamo possessori di tutta la sanità e che la malattia viene come conseguenza di negare, omettere o deturpare la verità – e, nel momento in cui abbassiamo la testa per accettarla nuovamente, ritorneremo al Paradiso Perduto (Milton) che abbandonammo.

Stano così le cose creiamo una civiltà rovesciata, a gambe all’aria, nella quale naufraghiamo inappellabilmente, poiché continuiamo, nonostante tutto, a rimanere legati alla verità, alla bellezza e alla bontà – e ritroveremo la pace solo quando le riaccetteremo. Ci troviamo in una situazione comica, ossia quella di rifiutare ciò che siamo essenzialmente, solamente perché non siamo stati noi a creare noi stessi. La famosa frase “non ho chiesto io di nascere” è una costante in ogni mente umana.

Il processo dialettico psicanalitico ci appare il più praticabile, perché funziona d’accordo con la natura umana. Per esempio: perché una persona comprenda qualsiasi cosa, deve comparare due elementi, per decidersi su uno di essi – con questo, possiamo dire che uno era errato o che è stato scelto quello sbagliato. E tale fenomeno si verifica nel mondo intellettuale, emozionale e, di conseguenza, nelle attitudini.

Perché la persona sappia quello che sta facendo con il suo interiore, basta che veda ciò che accade nel suo esteriore: malattie, decadenza fisica, difficoltà organiche, ecc. Esattamente lo stesso fenomeno possiamo applicarlo in campo sociale, poiché ciò che realizziamo socialmente (di buono e di cattivo) è esattamente ciò che realizziamo con la propria struttura psico-biologica.

Un esempio caratteristico della nostra arroganza, è l’attitudine di svalutare ciò che abbiamo ricevuto dalla natura, dal Creatore, mentre supervalorizziamo le nostre idee e le nostre fantasie.

Sto dicendo che, per essere sano, basta rinunciare alla grande fantasia che costruiamo sopra la realtà – contrariamente agli altri orientamenti psicologici noi affermiamo che non abbiamo bisogno di elaborare la nostra sanità, poiché essa esiste già – e dobbiamo desistere di volerla creare, poiché tutto quello che faremo sarà sempre un volerla alterare, omettere o negare.

L’essere umano diventa nervoso ogni volta che pretende di creare la sua vita; tutto quello che dovrebbe avere già esiste – tanto è vero che i genii ed i mistici non fanno altro che scoprire alcuni “segreti di Dio”, il che significa accettare ciò che è vero. La preoccupazione dell’uomo sorge sempre a causa del suo desiderio di sostituire il Creatore con se stesso; nonostante egli sappia che è impossibile, come che si tratta di un’attitudine ridicola, per non dire patologica. Inoltre questa è la fonte della nostra follia. Da questo momento in poi potrà sorgere ogni sofferenza – perfino il proprio inferno interiore.

C’è stato un grande equivoco rispetto alla vita psichica. Credo che i maggiori siano stati: a) un tentativo di biologizzarla, cioè, di considerarla come il risultato del funzionamento ghiandolare; una ipofisi organizzata male, un’emorragia di acido lisergico nel cervello ed ecco lì un individuo nevrotico. Ebbene, dopo quasi un secolo di questo orientamento, il popolo (che è la voce di Dio) è sempre meno convinto di tale impostazione; dal momento che la professione di Ippocrate si è mostrata insufficiente per trattare la vita psichica (questo lo disse già Freud), b) il tentativo di spiegarla per mezzo di fattori sociali (quasi sempre mischiati con fattori biologici). Dunque abbiamo saputo che i desideri libidinosi verso la madre (Freud) e la repressione sociale (Marcuse) venivano incolpati del nostro malessere; in quanto soffriremmo di carenze sociali: una volta è la mancanza di sesso, un’altra la mancanza di denaro o di prestigio sociale. Attacchiamo dunque la società, ma la stessa società siamo noi, e quelli che stanno là “in alto” sono gli stessi che stanno qui “in basso”.

Ora, che cosa ci impedisce di trattare la vita psichica, psichicamente? Potremmo trattare l’animale come se fosse un albero? Allora, perché desideriamo trattare l’uomo come se fosse un animale, o un insetto, una formica, per esempio? Questo è praticare una follia, o qualcos’altro ancora peggio.

Può uno psicologo che lavora con i topi, in una facoltà, passare a trattare l’uomo allo stesso modo? Perfino il topo, in una sala di sperimentazione, sta già in condizioni artificiali nevrotizzanti; pertanto anormali: Allo stesso modo uno studente di medicina giammai potrà applicare in un vivo quello che ha studiato in un morto – molto meno ancora potrà applicare qualcosa di organico nella vita psichica.

Siamo stati i primi psicoterapeuti a parlare della volontà – e non solo a parlare della volontà, ma a comprovare (attraverso l’esperienza) questo elemento fondamentale per la formazione della nevrosi. Medard Boss, in Svizzera, già dimostrò che il nostro problema sta nella mancanza di coscienza – ma noi abbiamo detto anche di più; non esiste una carenza di coscienza, ma la sua negazione, un’attitudine di opposizione, il che significa un rifiuto della propria vita. E questo comportamento rappresenta tutta la nostra malattia.

Nella misura in cui questo libro sarà letto, ogni persona potrà notare che c’è stato un grave equivoco nel campo della psicoterapia, nel tentare di portare l’individuo alla felicità, attraverso mezzi inferiori a lui, ossia il sesso, il denaro e il potere economico-sociale.

L’essere umano potrà essere felice solamente se starà in contatto con la vita che emana dal suo interiore – e questa vita è la stessa che guida tutto l’universo.

Quello che resta da dire qui è che la psicoterapia, nel suo senso reale, (oltre a ciò che la stessa parola dice: terapia dello psichico o psicanalisi: analisi dello psichico), ancora non è stata realizzata. E quando parlo di psichismo, sto parlando principalmente di ciò che esiste nel nostro interiore, perfino la volontà, cioè, i sentimenti, l’intuizione e la percezione, perché, a partire dal nostro volere, lo psichico impazzisce per il fatto che noi lo proiettiamo fuori, di preferenza nel sociale e nel biologico. La gente non dice che la persona malata (mentalmente) sta fuori di sé?

Probabilmente il maggiore errore, fra tutti quelli della scienza tradizionale, è stata la confusione che ha prodotto tra repressione e malattia, portando l’umanità a voler proiettare fuori tutto quello che sente e che pensa –non volendo considerare la possibilità di coscientizzazione del processo che mette in atto per nascondere la realtà.

Non esiste una cattiveria basica, iniziale; esiste, questo sì, un’attitudine di opposizione alla realtà, che è buona, impedendole di manifestarsi: questa è la nostra malattia.

La malattia è l’attitudine di scagliarsi contro la vita; è l’odio rispetto alla realtà; è il desiderio di porre termine a tutta la verità. La malattia psichica o quella organica appaiono sempre come conseguenza di un’attitudine di opposizione al reale.

L’individuo, che la scienza moderna ha denominato nevrotico o psicotico, è colui che digrigna i denti davanti alla verità – facendo di tutto per nasconderla.

Se la sanità, la felicità stanno alla nostra portata, perché non le accettiamo? Non le accettiamo perché pensiamo con ciò di soffrire – poiché dovremmo accettare la bontà che non è stata creata da noi -–e accettare questo comporta di passare sopra alla nostra invidia, alla nostra rabbia, e praticare sentimenti di gratitudine verso Dio. E i sentimenti di gratitudine verso di Lui sono la nostra felicità, i nostri sentimenti di gratitudine alla vita che è l’amore.

Per vivere bene, dobbiamo accettare la vita; però, per fare ciò, siamo obbligati a rinunciare alla nostra megalomania, per vedere che la vita è un dono che abbiamo ricevuto da chi è il nostro padrone. Nell’accettarla vivremo la verità e la bellezza e questo ci fa bene.

Quando accettiamo ciò che abbiamo ricevuto dal Creatore, immediatamente stabiliamo un contatto con la verità e la bellezza, permettendoci di essere buoni; e questo contatto è l’amore, che è il processo di godere del bene (che si diffonde da sé), facendoci diventare buoni e trasmettendo tale bontà agli altri – poiché il bene è sempre una diffusione, un’espansione che attraversa l’essere.

Esistiamo a causa della bontà del Creatore, che la riversò su di noi facendoci diventare buoni con gli altri – e il contatto è sempre un atto di amore. Nell’accettare la bontà, diventiamo buoni e, questa bontà investe anche le altre persone.

Potremo essere felici solamente nell’accettare la bontà che ci viene da fuori, formando un anello con essa – e, evidentemente, producendo altri anelli – ma giammai saremo felici, negando la bontà.
Credo che la nostra civiltà attuale sia arrivata alla sua fine, cominciando a naufragare: il freudismo (Libido), il marxismo e il relativismo (Einstein) sono ormai in sospetto. Ogni volta che ci procuriamo la felicità, in qualche cosa di esterno a noi, sarà tempo perso, semplicemente perché sarà sempre un’attitudine di alienazione, di fuga.

Ci sono in varie parti del mondo gruppi di pensatori, religiosi e scienziati che cominciano a denunciare tutti gli errori che i gruppi più malati hanno inflitto a tutta la società –traendone tutta la coscienza che gli mancava, principalmente godendo di tutta la ricchezza che esiste, non nei soli beni materiali, ma principalmente nel nostro interiore. Nel momento questa impresa sembra difficile, ma allo stesso tempo stanno apparendo individui disposti ad assumersi la loro responsabilità. In ogni caso, con la riduzione continua dei valori perituri, cominciano ad abbondare quelli imperituri (gli psicologici). D’altra parte non c’è altra strada per l’umanità.

L’essere umano, davanti alla realtà, potrà praticare, di due, un’attitudine: accettarla, oppure negarla, tentare di ometterla o di deturparla. In quest’ultimo caso, avremo l’individuo malato, psichicamente o organicamente – tuttavia, se accettiamo la verità, uniremo il nostro sforzo a tutto il potere che esiste e, in pochissimo tempo, avremo un enorme sviluppo insieme a tutta la società.

 Norberto R. Keppe
Presidente della Società di Psicanalisi Integrale

Privandosi dell’eterno, l’essere umano è caduto nel tempo e nello spazio – Norberto Keppe

Se il tempo e lo spazio non esistono per Dio, sono una “creazione” dell’essere umano, costituendo un rifiuto di ciò che è eterno – un processo d’inversione – posso dire che si tratta di un ristagno del perenne. Con tutta certezza un’illusione, qualcosa non esistente di per sé, ma piuttosto una privazione di ciò che esiste realmente. Il tempo costituisce un’interruzione di ciò che è definitivo, così come l’errore e il vizio; per questa ragione possiamo dire che esistiamo veramente solo nell’eterno, essendo il contingente un annullamento della vita: per questo motivo l’uomo si ammala, invecchia e muore – poiché tenta di fermare tutto, o meglio, di estinguere la perennità.

È difficile pensare che il tempo e lo spazio costituiscano una privazione dell’eterno, perché danno l’impressione di qualcosa che si muove costantemente, ma in verità diventarono un elemento potenziale con il fine di distruggere l’atto (puro) continuamente – e la privazione dell’atto interruppe l’eterno. In questo caso, posso dire che il tempo e lo spazio sono un’omissione dell’esistenza. E come l’essere umano potrebbe percepire qualcosa che sta al di sopra della sua conoscenza?

Il tempo è la privazione della vera vita, il grande impedimento che poniamo tra noi e l’esistenza reale – ma che potremo annullare in parte, tornando ad accettare integralmente l’essere: l’amore, la ragione e la bellezza: questo è il cammino.

–         Sembra che io non stia in contatto con la vita.

–         – Sembra che lei non dia importanza alla solidità, all’eterno – e così si colloca fuori della vita.

–         – Ma come?

–         – Se lei fa qualcosa solo d’immanente, non fa neppure il 10% di quello che esiste nella sua vera realtà, che è trascendente. Chi non si cura del più, non si cura del meno.

Lo spazio e il tempo impediscono la conoscenza, e tutto quello che accade al loro interno si avvia verso la distruzione – il che dimostra che il movimento (esterno) è l’elemento più distruttivo; a prima vista sembra che il movimento fornisca la vita, ma in realtà esso è l’esaurimento di tutto. Se non ci fosse movimento non ci sarebbe alcun tipo di distruzione, ciò che la fisica denomina entropia.

–         La cosa peggiore che sentivo durante la crisi psicotica è stata la perdita del contatto con Dio

–         – O è caduto in crisi proprio perché aveva perso il contatto con Dio.

Quando l’essere umano si slega dall’energia divina piomba nel vuoto psicologico, motivo per il quale non presenta più idee corrette, emozione d’amore e una condotta plausibile. Dobbiamo ammettere che passiamo dall’esistenza reale a un’altra irreale, motivo per il quale ci ammaliamo, invecchiamo e moriamo; se stiamo in qualcosa di artificiale è logico che automaticamente arriveremo a una fine.

“Terra, il Pianeta Illusorio” – Norberto Keppe.

Per vivere di più e meglio – Claudia Pacheco

Nel 1900, l’aspettativa di vita degli esseri umani oscillava attorno ai 38 anni. Attualmente la longevità si è attestata sui 68 anni.

La maggioranza delle persone crede che questo si debba al progresso della medicina, agli innumerevoli farmaci attualmente disponibili, come gli antibiotici, al progresso della tecnologia applicata alle pratiche mediche ed ai vaccini.

Ciò è corretto?

Secondo le ricerche effettuate dall’Università di Stanford, negli Stati Uniti, questo concetto è falso. Ciò che si è potuto appurare è che le cause della longevità poco hanno a che vedere con quello che si pensa. In scala percentuale l’assistenza medica si trova all’ultimo posto come dimostra la seguente classificazione delle cause che determinano il prolungamento della vita:

1° – Stile di vita – 50%

2° – Condizioni ambientali – 20%

3° – Ereditarietà genetica 17%

4° – Assistenza medica . 10%

Tra i fattori legati allo stile di vita, possiamo citare gli aspetti culturali, sociali, economici, le abitudini riguardanti la salute e, come fattori più potenti, i processi psichici.

I risultati di questa ricerca vengono a confermare il concetto dell’inversione in cui viviamo. Quando vogliamo prenderci cura della nostra salute, subito pensiamo ad esercizi fisici, alla buona alimentazione e, principalmente a partire da una certa età, a un buon medico sicuro che ci garantisca check-ups costanti.

Non esiste niente di sbagliato in queste precauzioni, ma l’inversione sta nel fatto che collochiamo queste attenzioni al primo posto, relegando i fattori psichici, che sono i più potenti, all’ultimo posto.

Chi mette un trattamento psicoterapico come prioritario in un processo di cura? Chi pone l’auto-conoscenza, principalmente la conoscenza della nostra patologia psichica (presente nella totalità degli esseri umani, diversificandosi solo nel grado tra una persona e l’altra) come fondamentale in una medicina preventiva?

Questo ci porta a concludere che se non fossimo così invertiti, nel curare gli aspetti materiali (sensorialismo) come prioritari a detrimento di quelli psichici che sono i più potenti, potremmo già vivere più di cento anni normalmente, e godendo di eccellente salute.

Questa inversione che si ritrova in tutte le attività e in tutte le filosofie dell’umanità, ha finito per restringere enormemente le conoscenze scientifiche, e fra queste quelle mediche. Inoltre, questa categoria professionale paga un prezzo molto alto nell’adottare questa visione organicista e parziale della salute umana –essi sono una delle categorie più colpite da problematiche di suicidio, depressione, di abuso di alcol e droghe, in quanto sono molto impreparati per trattare la vita emozionale propria e dei propri clienti.

Nel mio libro “Guarire con la coscienza – Teomania e Stress”, opera pionieristica nel campo della medicina psicosomatica, pubblicato la prima volta all’inizio degli anni ’80, ho già parlato dell’importanza per la medicina di indirizzarsi al trattamento del malato e non della malattia, poiché la visione parziale del cliente, nel trattare i suoi organi separatamente e non l’organismo, rende sempre più difficile la loro guarigione.

In questa stessa opera cito il fisiologo francese Claude Bernard che, nella metà del secolo 19°, affermava che il nostro corpo convive con milioni di batteri senza che necessariamente si debba cadere malati. Ossia, abbiamo difese naturali contro questi microrganismi il cui habitat naturale è il nostro corpo. I sintomi cominciano a sorgere quando questo equilibrio interiore è spezzato da fattori anteriori all’azione di questi batteri o virus. Questa interruzione dell’equilibrio è legata a ciò che è stato chiamato, per la prima volta da Hans Seyle, stress. E lo stress è il risultato, nel 90% dei casi, se non di più, di fattori psicologici.

Per esempio, in un milligrammo di saliva umana, esistono 150 milioni di batteri, che coabitano pacificamente con noi. Tutto procede bene finché non si presenti qualche disturbo psicofisiologico nascosto e si verifichi la rottura di questo equilibrio interiore, dando inizio ai più diversi sintomi. Anche così il nostro stesso organismo possiede meccanismi autoregolatori di difesa, come una farmacia interna che in condizioni normali rende possibile che la salute torni a dominare la situazione, senza che vi sia la necessità di un intervento esterno, di farmaci o qualcosa di altra natura.

Perché esistono persone che passano la vita senza aver bisogno di farmaci e ci sono quelli che non passano sei mesi senza aver bisogno dell’ausilio medico? Al contrario di quello che si pensa, non sono stati i fattori genetici, alimentari o di origine esterna che hanno determinato questa differenza, ma quello che i ricercatori di Stanford chiamano “stile di vita”.

Lo stile di vita che ha come nucleo il potere della vita psichica.

La spirale della salute

Lo stesso movimento a spirale che esiste nelle galassie è quello che si verifica nel nucleo del nostro DNA. Il nucleo del potere energetico esce dal centro in fuori in tutto quello che è naturale. Così accade anche nelle nostre cellule e nel nostro organismo psicofisico, in cui il nostro interiore psicologico (la bontà, la bellezza e la verità) è il nucleo che dà energia e potere affinché tutto il resto funzioni alimentando le nostre cellule ed i nostri organi.

Se volessimo prolungare le nostre vite e migliorare la nostra salute, dovremmo prestare molta attenzione alla nostra vita psichica più di quello che facciamo, poiché è da lì che parte tanto l’energia vitale indispensabile al mantenimento della salute, quanto la patologia che va ad impedire il funzionamento del nostro organismo (invidia, egoismo, paura, megalomania, rabbia ecc.).

Chi cura il maggiore, cura il minore, ma l’inverso non è vero. Chi cura la vita psichica, cura di conseguenza il corpo, ma chi cura solo il corpo non cura l’aspetto psichico che, se sarà malato, causerà lo squilibrio “occulto” a cui fa riferimento Claude Bernard, portando dietro di sé tutti i tipi di malattie.

Non possiamo curare le malattie preoccupandoci dei sintomi, per lo stesso motivo che non possiamo fertilizzare o irrigare una pianta attraverso i suoi rami. Il nostro interiore è le nostre radici; il nostro corpo, la vita sociale ed i fattori esteriori sono i rami e la coscienza è questa acqua e questo alimento di cui abbiamo bisogno.

Come per il corpo e per l’anima occorre prenderci cura della mente tutta la vita – Fabio Biliotti

Il corpo è l’entità di cui l’essere umano ammette senza alcun dubbio l’esistenza e che riesce meglio a comprendere: si può vedere, toccare. Anche se poi, quando andiamo ad approfondirne lo studio ci rendiamo conto che è più complicato di quello che ci appare e finisce per diventare qualcosa che si allontana sempre più dall’immediata comprensione e perfino dalla materialità. E’ complicato comprenderne il funzionamento, è complicato comprenderne le disfunzioni, è complicato ancora di più capire come correggere e curare queste disfunzioni che comunemente vengono classificate come malattie.

La mente è l’entità di cui l’essere umano si accorge dell’esistenza, ma diventa arduo farsi un’idea fisica della mente; spesso ce la raffiguriamo con il cervello, ma la mente è qualcosa che va al di là del cervello stesso, perché sappiamo che un cervello ce l’hanno anche gli animali, ma gli animali non hanno una mente. Come si vede rispetto al corpo è già un po’ più difficile comprendere che cosa sia la mente. Siamo certi che esiste, perché ci rendiamo conto che per imparare a parlare, per imparare a leggere, per farsi una cultura, per esprimere dei pensieri, per svolgere attività artistiche, per essere giusti, per essere sinceri c’è qualcosa che funziona e che rende possibile all’essere umano tutto ciò, ma non ce la possiamo raffigurare fisicamente.

Quando si arriva all’anima ci ritroviamo di fronte ad una realtà della quale spesso si nega addirittura l’esistenza, tanto è difficile farsi un’idea e percepirla. Dell’anima non si riesce ad avere la percezione, se non dopo un atto di fede. Addirittura molti pensano che questo aspetto della nostra individualità non esista. Chi lo ammette in ogni modo trova difficoltà a comprenderne il significato profondo.

Ci troviamo di fronte a tre realtà di cui una, il corpo, più percepibile, più evidente, sull’esistenza della quale non si ha alcun dubbio e, all’altro estremo, l’entità più spirituale, più evanescente e quindi meno comprensibile: l’anima.

Ecco perché l’essere umano tendenzialmente è portato a far pendere la bilancia del proprio vivere quotidiano verso la parte più materiale, perché è quella che capisce, che comprende meglio, che vede e che tocca, che è legata ai sensi.

Non bisogna mai dimenticare però che, come afferma Keppe nella Trilogia, fra queste tre componenti della nostra individualità vi sono delle interrelazioni strettissime: il corpo non può fare a meno della mente e dell’anima; la mente non può fare a meno dell’anima e del corpo; l’anima non può fare a meno del corpo e della mente.

Ciò significa che non c’è una scelta da fare, nel senso che basti curare l’anima e dimenticarsi della mente e del corpo, oppure che basti curare il corpo e dimenticarsi della mente e dell’anima, o ancora che basti curare la mente e dimenticarsi del corpo e dell’anima. Rivolgersi con esclusività ad ognuna di queste parti senza tener conto delle altre due produce uno squilibrio che non va a vantaggio dell’essere umano nella sua interezza e che lo rende appunto squilibrato.

Come c’è la necessità di curare il corpo, di dargli da mangiare, guarirlo da eventuali malattie; la stessa cosa vale per la mente: occorre nutrire la mente e curarla da eventuali malattie; occorre nutrire l’anima e curare l’anima.

Certamente dare da mangiare al corpo è una cosa, alla mente è un’altra, all’anima un’altra ancora.

Al corpo si capisce meglio che cosa si deve dare da mangiare, ma non si può mangiare a caso, non si può mangiare tutto quello che si vuole, non si può mangiare quanto si vuole; si deve bere perché il corpo ha bisogno di bere, ma non si può bere tutto quello che si vuole, quanto si vuole; quindi occorre comprendere le necessità del nostro corpo per imparare a nutrirlo.

Anche la mente ha bisogno di nutrimento, perché una mente se non viene nutrita può atrofizzarsi; nutrirla con informazioni, nozioni, con pensieri, con riflessioni, con elaborazioni, con esercizi pratici e teorici, si deve anche equilibrarla curandone le disfunzioni, i difetti, gli errori per imparare anche qui ciò che fa bene alla nostra mente.

Di nutrimento ha bisogno anche l’anima; questo nutrimento è dato dalla preghiera, dalla meditazione, dalla riflessione e la sua cura sta nell’azione buona e pura “nell’atto puro” come dice Keppe.

Sono convinto che una persona spiritualmente attenta, ma che trascuri il proprio corpo e la propria mente, non possa vivere bene. Se c’è una trascuratezza voluta nei confronti del proprio corpo perché si ritiene che questa parte di noi non sia importante, addirittura sia di intralcio alla nostra crescita spirituale, si sbaglia, perché così si indebolirebbe anche la nostra capacità di curare la nostra mente, di curare la nostra anima. Una persona alcolizzata non rovina solo il proprio corpo, ma anche la mente e l’anima. E così anche se non funziona bene la mente e non viene adoperata nel modo giusto, se noi non ci preoccupiamo di curare le nostre patologie per esempio, noi aggrediremo, senza accorgecene, il nostro corpo e non ci predisporremo bene nemmeno verso la nostra parte spirituale nel rivolgerci a Dio.

Questo significa che la preghiera funziona bene se tutti gli aspetti che compongono l’essere umano funzionano bene; se si è rispettato e curato il nostro corpo, se si è rispettata e curata la nostra mente.

Voglio fare l’esempio di una persona che abbia una patologia: mettiamo l’egoismo; gran parte di queste patologie non vengono riconosciute, perché se le riconoscessimo non le praticheremmo. Quindi quella persona non si accorge, non si rende conto di essere egoista; allora col suo egoismo commetterà tanti errori nella quotidianità, commetterà tante cattive azioni senza esserne consapevole; e proprio perché non ne è consapevole che non si sognerà mai di mettersi a pregare chiedendo perdono a Dio per quello che ha compiuto di sbagliato e dunque le sue preghiere perdono di efficacia.

Certo in teoria la preghiera potrebbe risolvere tutti i problemi, ha questo potere, ma solo se svolta nel modo giusto e con la giusta predisposizione: con il “cuore puro”; predisposizione che non è possibile ottenere se non percepiamo i nostri errori e trascuriamo il nostro corpo.

Dobbiamo dunque imparare a considerare l’esistenza di tutti e tre questi aspetti con una visione olistica, unitaria, infine trilogica.

Ma che cosa succede nell’esistenza degli esseri umani?

Accade che si pone l’attenzione al proprio corpo e che questa attenzione (bene o male esercitata) si ripete ogni giorno per tutta la vita; così è anche per la parte spirituale: perché, sia in senso religioso che in senso laico, si fa continuo riferimento alle esigenze della spiritualità e si ritiene indispensabile occuparsene e lo si fa (bene o male) tutta la vita.

Per la mente accade invece un fatto strano: la stragrande maggioranza degli esseri umani ritiene indispensabile occuparsene solo quando si manifestino sintomi talmente gravi che spesso precludono una riparazione efficace: troppo spesso le persone si dimenticano della mente. E anche quelle persone che comprendono la necessità di fare qualcosa per il giusto equilibrio della propria mente, ritengono che questo intervento debba esaurirsi in un tempo determinato.

Nessuno pensa che si possa interrompere, ad un certo punto della vita, di dare da mangiare al proprio corpo, di accudirlo, di curarlo; nessuno si sogna di dire che, dopo aver pregato Dio, o aver fatto un percorso laico di spiritualizzazione, per uno o due anni, siamo a posto per il resto della vita e si può non pregare più e porre fine alle buone azioni. Perché allora per la mente si chiede quanto dura l’analisi? Quanto dura cioè questo percorso di coscientizzazione, come dice Keppe, che ci consente di vivere sempre meglio?

Si noti dunque quanta sottovalutazione della necessità di nutrire e prendersi cura della mente! Eppure lo strumento tutto umano (che è fondamentale in questa nostra vita terrena), lo strumento che ci consente di accorgerci se l’attenzione prestata al proprio corpo è giusta o no, è buona o meno, se il modo di come si affronta la nostra spiritualità sia quello più efficace e più vero, è proprio la mente!

Come per il corpo e per l’anima, anche per la mente occorre comprendere che la “cura” non può esaurirsi mai. Questa è la risposta che dobbiamo dare a chi spesso ci domanda se il percorso analitico abbia termine: la risposta è no, non ha termine se non quando terminerà questa nostra vita terrena.

Certo un buon percorso analitico deve dare dei risultati in termini di benefici, fin dalle prime sedute (e questo accade certamente con la Trilogia Analitica), ma il processo non finisce mai perché noi non saremo mai perfetti: il nostro è un cammino sulla via della perfettibilità che ci consente un continuo infinito miglioramento.

In questa ottica la mente dell’essere umano ha un enorme ruolo poiché è l’intermediario tra il suo corpo e la sua anima. Attraverso la mente l’essere umano permette allo spirito di illuminare la sua anima apportando grandi benefici anche al proprio corpo. Se non c’è un equilibrio della mente sarà impossibile elevare la nostra anima in modo da far coincidere, come afferma Keppe nell’ultima sua opera “A Origem da Sanidade” l’esistenza con la nostra essenza.

Come migliorare la propria vita – Fabio Biliotti

Tutti aspirano ad avere una vita migliore e tutti credono di agire conseguentemente per realizzare questa aspirazione; ma nessuno sa che invece tutti ci adoperiamo per la nostra infelicità e dunque per peggiorare la qualità della nostra vita che potrebbe essere come dice Keppe “bella, buona, vera”

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Mi rendo conto che questa enunciazione è molto difficile da essere accettata e condivisa e non pretendo che sia così, voglio invitare i lettori però a non rifiutare a priori questa affermazione, ma a ricercare, leggendo i testi di trilogia e approfondendosi nella conoscenza di se stessi e della società, per arrivare a comprendere la veridicità di questa affermazione.

Intanto ci si soffermi solo per qualche istante a riflettere su ciò che ci circonda e sul nostro stato d’animo.

Viviamo in tempi difficili che procurano spesso disagi e profonde insoddisfazioni, in particolare per le difficoltà di trovare un lavoro, di convivere con gli altri, di convivere con le regole di una società tutta proiettata a considerare solo gli aspetti materiali della vita, di trovare la giusta soddisfazione nel campo affettivo.

Queste difficoltà aumentano se l’individuo non è in forma, non possiede una sufficiente conoscenza di se stesso e delle sue reali potenzialità, non ha un equilibrio adeguato.

L’aspetto dell’equilibrio personale viene spesso trascurato e allora capitano cose che non si riesce a comprendere, che inducono ad addossare le responsabilità di ciò che ci succede agli altri, alla società, al mondo esterno e, spesso, perfino a forze soprannaturali (la cosiddetta sfortuna o il malocchio per esempio). Aumentano perciò le insoddisfazioni, le ansie, le angosce, le paure; si vivono così complessi d’inferiorità, timidezze, frustrazioni; si è colti da depressioni, impotenze, bulimie, anoressie; ci si ammala ripetutamente e con facilità.

Tutto ciò però non è irrisolvibile: non ci sono malocchi né sfortune (non si è sfortunati per natura); esistono invece spiegazioni e soluzioni razionali.

Pochissimi sanno che esiste la possibilità di superare tutti questi problemi senza farmaci, senza formule magiche, ma attraverso percorsi razionali, logici, scientifici e spirituali. Occorre semplicemente analizzare la propria situazione, riconoscere i nostri errori e difetti, le nostre attitudini distruttive e far emergere le proprie qualità e potenzialità.

Spesso la propria vita, agli occhi degli altri, può scorrere “normalmente”, a volte con successi più o meno importanti, ma dentro ci sentiamo inquieti, inappagati e, spesso, tristi. Ciò avviene perché non si assecondano le proprie peculiari qualità e ci si lascia sollecitare da parametri esterni imposti dagli altri.

Occorre scoprire queste nostre qualità, occorre imparare a stare a contatto con la realtà, occorre non farci travolgere dalle emozioni.

Questo è possibile se tutto ciò viene affrontato non settorialmente, curando solo gli effetti, ma con una visione olistica, complessiva e unitaria che rimuova le cause di questi nostri disagi.

Non può dunque essere una sola disciplina che può dare validi e duraturi risultati, ma un complesso ed unitario metodo di analisi, di indagine introspettiva: con la Trilogia Analitica tutto ciò è oggi possibile. Con questo metodo si può riconquistare serenità, sicurezza, concretezza e, sicuramente, si può migliorare la propria vita quotidiana. Si può trovare un modo migliore di vivere la famiglia, il lavoro, l’amicizia e gli affetti.

Il metodo della Trilogia Analitica consiste in un’analisi del profondo che non è indirizzato solo a risolvere particolari e gravi casi di malattia mentale, ma, più in generale, è rivolto a tutte quelle persone che si possono considerare “normali”, ma che interiormente sentono di non essere appagate, serene, tranquille e che non riescono ad esprimere tutte le loro potenzialità.

Se si vuole quindi essere più soddisfatti, più sereni, più felici e più “fortunati”, se si vuole essere in grado di esercitare tutte le proprie qualità, occorre intraprendere un percorso di conoscenza di se stessi per eliminare tutte quelle attitudini negative, che distruggono il bene di cui potremmo godere, con un metodo che affronti queste nostre problematiche con una visione unitaria, una visione che tenga conto delle nostre esigenze materiali, psichiche e spirituali: l’unico metodo che oggi corrisponda a queste caratteristiche è la Trilogia Analitica che prende appunto in considerazione l’importanza dell’azione, del pensiero e dello spirito nell’essere umano.