Lettera aperta ad Alberoni sull’invidia – Fabio Biliotti

Venezia luglio 2001

Egr. dott. Alberoni,

ho letto il suo articolo pubblicato sul ”Corriere della Sera” del 2 luglio scorso e mi sono sentito spinto a scriverle dalle stimolanti argomentazioni in esso contenute. Lo scopo è quello di prendere spunto da questa occasione per presentarle il nostro Centro. Ma prima di far questo mi permetta di fare alcune considerazioni.

  1. Sull’invidia esistono studi di un ricercatore brasiliano di origine austriaca, dott. Norberto Keppe che è il Presidente onorario del nostro Centro e Presidente del Comitato Scientifico. Il dott. Keppe, prima di ogni altro, ha scoperto che l’invidia non è una patologia che riguardi qualcuno più o meno malato, ma un’attitudine che riguarda tutti, tanto che egli l’ha chiamata “Invidia Universale” universale appunto perché si tratta di una caratteristica di tutti gli individui, di tutte le razze e perché è diretta a tutto l’universo. “È un’attitudine tanto grave e tanto infernale – afferma Keppe – che difficilmente possiamo liberarci da questo intrigo”. Queste cose il dott. Keppe le ha scoperte trent’anni fa ma, nonostante che ilCNRS(Centro Nazionale di Ricerca Scientifica) di Francia lo abbia definito “Senza dubbio il più originale autore eterodosso fra i contemporanei”, egli viene assolutamente ignorato dal mondo accademico e molti ricercatori, che pure non lo ignorano, si rifanno alle sue scoperte facendole proprie senza mai citare la fonte delle loro affermazioni. Non dico queste cose per rivendicare una paternità, ma perché questo atteggiamento del mondo accademico e di molti ricercatori rientra perfettamente nel tema trattato da Lei nel suo articolo: si tratta dell’invidia che molti accademici provano per un ricercatore tanto originale quanto eticamente scientifico, tanto semplice nelle sue argomentazioni quanto profondo. Per questa ragione mi permetterò di farLe avere, se Lei mi fornirà gentilmente un indirizzo presso il quale inviarli, alcuni suoi scritti sul tema dell’invidia che ha recentemente trattato anche nell’ultima sua opera “L’origine delle infermità”
  2. Sento il bisogno inoltre di esprimere alcune mie opinioni su alcune delle attitudini umane che spesso vengono confuse con l’invidia vera e propria ricorrendo al testo del Suo interessante articolo. Alcuni esempi da lei riportati a mio avviso dovrebbero essere distinti. Non possiamo confondere imitazione, emulazione, mimetismo e invidia vera e propria o meglio non possiamo confondere tra imitazione ed emulazione da una parte e mimetismo e invidia dall’altra. L’imitazione è essenziale specialmente nel bambino che deve imparare tante cose, per cui nell’imparare a considerare buoni i cibi che vede mangiare ai grandi non riscontrerei un’invidia; come non riscontrerei un’invidia in Tom Sawyer che dipinge una palizzata con piacere e soddisfazione e neppure negli altri ragazzi che, vedendolo, gli chiedono di farli provare, la chiamerei piuttosto emulazione; come all’emulazione può spingere il fatto di ammirare un cantante che riempie le piazze o un manager arrivato o un dentista che ha lo studio pieno di clienti o uno studioso che sia diventato famoso nel mondo; in sé questa ammirazione potrebbe essere uno stimolo a migliorarsi e a prendersi la responsabilità della propria vita e del proprio successo per diventare bravi ed ammirati come quel cantante, quel manager, quel dentista e quello studioso. Tutto ciò non è dannoso; mentre il mimetismo o meglio il “desiderio mimetico”, come lo definisce Girard, può essere veramente dannoso e porta senza dubbio all’invidia. Qui mi corre l’obbligo di definire meglio l’invidia secondo comela concepisce Keppe. PerKeppe l’invidia non ha altro significato che quello che indica l’etimologia della parola latina “invidere” che, come lei sa, vuol dire “non vedere”; ma che cosa non vuol vedere l’invidioso? Essendo una persona non felice e non soddisfatta, non vuol vedere neppure la felicità (o quello che lui crede che sia la felicità) e la soddisfazione degli altri e dunque si adopera per distruggere quella felicità e quella soddisfazione. Allora è veramente invidioso lo studioso che si rode di rabbia vedendo l’altro studioso che è diventato famoso in tutto il mondo e lui no. Perciò, e qui scatta la vera invidia, cerca di sminuirne il valore, di danneggiarlo e, se non ce la fa con lui, se la prende con sua moglie ed i suoi allievi. E così si può considerare il mimetismo o meglio, il desiderio mimetico come l’anticamera dell’invidia vera e propria in quanto con esso l’individuo sfugge alle responsabilità della propria vita e sfuggire alle responsabilità della propria vita significa non affrontare i problemi che essa necessariamente ci pone. Ed è proprio ciò che succede a tutti i figli che scelgono la strada dell’identificazione per assomigliare al padre e quindi non distinguersi da lui (mimetizzarsi); ed è chiaro che falliscano perché con questa scelta di comodo, rinunciano ad affrontare la vita con le loro peculiari qualità, rinunciano ad assumersi le loro responsabilità e non mettono alla prova le loro specifiche capacità di affrontare i problemi. Tutto ciò viene fatto dai figli appunto per comodità, per pigrizia ed è proprio per questo che falliscono, perché non sono realmente impegnati. Il risultato non può che essere una grande insoddisfazione ed infelicità che spinge a “non voler vedere” (invidiare) la felicità ed il successo degli altri, in questo caso specifico del padre. Questo comportamento, in misura più o meno elevata, è generalizzato e nessuno ne è immune. Keppe constata che la struttura dell’essere umano è, per natura, fondamentalmente sana, ma egli nasce con un “difetto” nella sua struttura psicogenetica, difetto che causa le malattie. Questo “difetto” viene chiamato da Keppe “inversione psichica” per mezzo della quale l’essere umano tende a distruggere il bene e a ricercare il male per sé e per gli altri, attaccando, nella maggior parte dei casi in modo incosciente, la propria vita, creando così la propria sofferenza e la propria malattia. Questo comportamento per Keppe è il risultato di un’attitudine di “invidia originale”, innata, universale che sarebbe la radice principale della maggior parte dei comportamenti patologici dell’essere umano”. Perciò fa bene lei, dott. Alberoni, a dire “… Voi credete che anche coloro che si considerano politicamente corretti, anche coloro che si battono per i popoli del terzo mondo, anche i cristiani che vanno a messa e operano in associazioni benefiche non siano schiavi di questi stessi meccanismi? Lo sono anche se non lo riconoscono, perché l’invidia è una menzogna fatta a se stessi prima che agli altri”; e perché come lei stesso aveva affermato più sopra, l’invidia acceca: per questo che gli individui non la vedono e più uno è invidioso e meno la percepisce.

Ed ora mi permetta qualche breve considerazione sul nuovo ed originale metodo di analisi del profondo elaborato, nel corso di tanti anni di studio e di pratica, dal dott. Keppe: quello che lui stesso ha chiamato Trilogia Analitica o Psicanalisi Integrale; un metodo che parte dalla constatazione che “se vogliamo aiutare un essere umano integralmente, non possiamo trattare i suoi sentimenti senza considerare la sua spiritualità (o la sua religiosità); la sua pressione alta senza sapere ciò che lo preoccupa; le sue finanze senza conoscere il suo passato, la sua educazione, la sua filosofia di vita ecc. Insomma non si può trattare l’essere umano a pezzetti. Fino ad oggi, il medico tratta il corpo, lo psicologo alcuni problemi di ‘aggiustamento sociale’; il sacerdote dei suoi problemi religiosi, lo psichiatra delle sue paure, dei suoi deliri e delle sue allucinazioni e così via”. L’essere umano a somiglianza del Creatore è trino fondamentalmente: sentimento, pensiero ed azione, perciò esso deve essere analizzato con l’aiuto della scienza (azione), della filosofia (pensiero) e della spiritualità (sentimento), da qui la necessità di un superamento della separazione di questi tre importanti campi di lavoro per arrivare ad un’unità. Non voglio comunque sviluppare qui una delucidazione esauriente di questa ricerca durata decine e decine di anni. Questo mi serve solo da pretesto per informarla che è stato costituito in Italia un Centro Italiano di Trilogia Analitica che ha lo scopo di diffondere la conoscenza di questa nuova scienza e che è aperto al confronto con tutti coloro che sono animati da fare il bene di tutti gli esseri umani. Lei dott. Alberoni ha, fra le altre, una grande qualità: quella di riuscire a divulgare pensieri e concetti con grande sapienza e lucidità, Le saremmo molto grati se volesse quindi prendere conoscenza del lavoro del dott. Keppe. Per questo siamo a sua disposizione per farle avere tutto il materiale che desidera e per ospitarlo quando vorrà nel nostro Centro.

Certo della Sua sensibilità le invio i più sentiti auguri di buon lavoro.

Fabio Biliotti