La dimissione dal Trattamento Psicanalitico o Psicoterapeutico – Claudia B. Pacheco

Un quadro della pittrice mozambicana Bertina Lopez

I terapeuti che danno il “certificato di guarigione” ai loro clienti, incorrono in un errore molto sottile. Sebbene ci sia difficile ammettere un “trattamento senza fine”, la dimissione, quando parte dall’analista, significa dire al paziente: “Lei ora è sano, non ha più bisogno di preoccuparsi della sua coscientizzazione, della cura della sua vita psichica”. L’essere umano, per natura, è vanitoso e presuntuoso. Già da sé si giudica giusto, padrone della verità e più saggio degli altri. L’aver fatto un trattamento psicoterapeutico e l’aver ricevuto il certificato dal suo psicoterapeuta, significa avallare l’idea che questo individuo deve essere più “sano” degli altri, che è più equilibrato, più capace. La sua vanità allora sarà sfrenata, diventando un individuo di difficile relazionamento e, a volte, insopportabile (come tanti che conosciamo) data la sua arroganza rinforzata dal terapeuta.
Una “dimissione”, in un trattamento, un elogio al cliente, può distruggere tutto un difficile lavoro di anni per la sua coscientizzazione.
La vita psichica non ha limiti. Così anche la sua coscientizzazione. L’arroganza, il disegno di alienazione e di fantasia avrà sempre la sua fonte sicura nell’interiore dell’individuo. Immaginare dunque che un giorno la persona smetterà di avere qualsiasi “patologia” è un’idea ancora più patologica che l’analista deve trattare per non alimentarla (in se stesso e nel cliente). Ugualmente lo stesso terapeuta non si deve dimenticare che il cliente che “cura” è una persona uguale a lui, che l’unico elemento che lo distingue dal cliente è lo sforzo continuo che lui fa per coscientizzarsi.
Su questo punto Freud aveva ragione quando diceva che il trattamento analitico non ha fine, né per il cliente, né per l’analista.
La “dimissione” si identifica in forma figurata con il livello in cui la persona si colloca in relazione alla realtà – egli sta “ben al di sopra dell’ordinario” nelle sue fantasie, nella sua alienazione e nella sua megalomania. Il terapeuta che dimette, in fondo, crede che il cliente abbia raggiunto un punto in cui egli stesso si colloca: “il padrone della sua verità” (e quel che è peggio, anche di quella degli altri).
Molti diranno: ma il cliente dovrà sempre egli stesso prendersi cura dei regressi nella sua vita. Molto bene: colui che si considererà tale ha già una attitudine di orgoglio e di vanagloria, caratteristica di quelli che sono molto alienati.
Per incredibile che possa apparire, la seguente affermazione è molto vera: colui che realmente si considera inadeguato per misurarsi con la verità, che dubita della sua capacità di ” sapere tutto”, che sente di avere bisogno di quella mezz’ora di analisi è il più umile e il più sano.