La coscienza è l’unica garanzia di non cadere vittime della disinformazione – Fabio Biliotti

Quando arrivai a San Paolo, nel gennaio del 2000, fui subito investito da una valanga di domande preoccupate da parte degli amici circa il danno che l’influenza stava causando in Italia. Rimasi meravigliato da tanta curiosità per una cosa che per noi italiani era diventata come l’apertura delle scuole, come una rata da pagare, come una scadenza spiacevole sì, ma che faceva parte della nostra quotidianità e che affrontavamo in generale con una certa indifferenza, con assuefazione direi, pur sapendo che si sarebbe trattato di un fastidio che, volendo (così ci istruivano falsamente i media), avremmo potuto evitare con un vaccino. Era questa assuefazione non gradita che spingeva e spinge le multinazionali dell’industria farmaceutica a ricorrere ad espedienti terroristici che venivano veicolati al grande pubblico attraverso i mass media che “informavano” con più o meno allarmismo.

I brasiliani, vedendo la mia tranquillità, quasi indifferenza, la mancanza di qualsiasi segno di seria preoccupazione, pensarono che noi italiani non fossimo informati dei circa sei morti alla settimana che l’influenza mieteva in Italia. Non riuscivo a capire perché in Brasile si era convinti che noi italiani non fossimo informati, quando invece lo eravamo eccome! Sapevamo tutto! O almeno eravamo convinti di essere obbiettivamente informati! Come ogni anno l’allarmismo sull’influenza appariva con puntualità su tutti i giornali e su tutti i mezzi di comunicazione, “informandoci” ampiamente sulle complicazioni e i rischi. Non era un fatto nuovo per noi che l’influenza colpisse così tanta gente in ogni stagione e che ci fossero anche delle vittime, per lo più persone anziane.

Ebbi l’impressione, al contrario, che fossero proprio i brasiliani a non essere mai stati informati su che cosa succedesse nel mondo e che non fossero mai stati informati, non solamente su ciò che negli altri paesi accadeva, ma principalmente su ciò che accadeva nel loro paese a proposito dell’influenza. D’altra parte, pensandoci bene, in nessun paese, Italia compresa, si conoscono le cose che accadono in questa terra, se non quelle che ai potenti del mondo, che decidono quello che dobbiamo sapere o no, interessa farci sapere. Per questo i Brasiliani sapevano poco o niente degli italiani e gli italiani sapevano poco o niente dei brasiliani. Infatti nel mondo l’Italia è il paese della pizza e degli spaghetti e il Brasile il paese delle belle ragazze e del carnevale.

Ritornando all’influenza, l’informazione sui pericoli che rappresenta arriva ogni anno puntuale, non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei e anche in modo piuttosto allarmistico. Per mesi non si fa altro che parlare del tipo di batterio che causerà l’influenza, se verrà dalla Cina, dall’Australia, dalla Russia, dalle Filippine o da qualche altra parte del mondo, se sarà forte o debole, se procurerà effetti gravi o meno.

Mi chiedevo perciò perché tanta febbrile (è proprio il caso di dirlo) agitazione intorno a questa faccenda da parte dei brasiliani. L’ho capito qualche giorno più tardi leggendo le pagine del “Folha de S. Paulo” (Foglio di San Paolo). Mi sembrava di rileggere i tanti articoli apparsi sui quotidiani e settimanali italiani; si trattava dello stesso taglio nel proporre ai lettori questo tipo di informazione. Mi sembrava scontato che si dicessero quelle cose e che si dessero quelle informazioni, ma notavo che queste informazioni venivano presentate come una qualche novità, non erano scontate. Per i brasiliani era una novità sapere dei danni dell’influenza e una novità sapere che in Italia e in tutta Europa l’influenza metteva a letto milioni di persone e che alcune di loro ogni settimana morivano. Per me invece era tutto ovvio, non costituiva neppure una notizia di quelle che incuriosiscono. Rispondevo agli amici brasiliani allarmati, e che temevano che io potessi essere un portatore sano del virus micidiale, che non era il caso di fare tanto allarmismo, che ogni anno la stampa riportava sempre con grande evidenza, spesso in prima pagina, e con ripetitività, le stesse notizie e che ciò non rispondeva ad un obbiettivo servizio ai cittadini, ma ad un servizio alle multinazionali dell’industria farmaceutica che avevano l’esigenza di vendere qualche nuovo prodotto o ritrovato studiati per incrementare i soliti colossali affari danneggiando e non curando la salute della comunità.

Ecco il punto: gli affari e il profitto. Ebbi l’impressione che questo affare, di dimensioni ancora più colossali che in Italia, stesse per essere lanciato anche in Brasile. Mi meravigliai che, date le potenzialità di un mercato tanto vasto, non si fosse ancora proceduto a lanciare questa campagna allarmistica sull’influenza. Forse, mi dissi, i potenti brasiliani non erano ancora pronti per sfruttare questo affare, non si erano ancora potuti organizzare, nel senso che non si erano messi d’accordo nella suddivisione di questa enorme torta. Per questa ragione i brasiliani non erano stati ancora informati che l’influenza fosse un male comune anche nel loro paese che, fino a quel momento, curavano come semplice raffreddore o “indisposizione” rimanendo a casa al caldo per qualche giorno o semplicemente aspettando che passasse continuando a lavorare, come molti di fatto stavano già facendo. Pensai che da quel momento anche i brasiliani sarebbero stati “amorevolmente” terrorizzati dai media che li avrebbero indotti a comprare medicinali necessari a evitare danni gravi, anzi gravissimi.

La questione “influenza” quindi non deve essere inquadrata nell’ambito del diritto dei cittadini ad essere informati, ci si deve invece chiedere: quale informazione deve essere data? Si tratta dell’eterno problema di ricevere un’informazione vera, obbiettiva, sana, non strumentalizzata dagli interessi delle multinazionali farmaceutiche, in questo caso, o di qualsiasi altra multinazionale. Ci si ricorda di quando l’influenza veniva combattuta con abbondanza di antibiotici che hanno indebolito in generale enormemente le nostre difese immunitarie, tanto da dover intervenire in seguito, con una campagna su vasta scala, sui medici perché sospendessero quel tipo di trattamento? Questo però fu fatto nel momeno in cui le industrie farmaceutiche furono in grado di mettere in commercio altri medicamenti e il vaccino per cui la perdita sugli antibiotici sarebbe stata più che compensata da altre entrate.
Ma qual è la verità che dovrebbe essere perseguita da una sana informazione? Il problema è qualitativo e non quantitativo, perché da questo punto di vista (quantitativo) un’informazione sicuramente ci sarà in quanto essa è collegata agli interessi del mercato.

Il punto vero è che ciò a cui si è assistito e si assiste, in Europa, come in tutto il “primo mondo” ed ora anche negli altri “mondi”, non è vera informazione. Credo anzi che la vera informazione, la giusta informazione, l’informazione etica per i popoli non sia mai esistita e non esista purtroppo se non in nicchie molto ristrette (come la nostra ad esempio) che spesso non fanno opinione; credo cioè che quello di una onesta informazione sia un altro dei fondamentali diritti del cittadino che sia sempre stato calpestato e continui a esserlo ancora oggi: si assiste solamente a propaganda occulta. In realtà l’informazione ha sempre funzionato, come fu analizzato bene al Convegno internazionale tenutosi dall’Associazione “STOP alla distruzione del mondo” a Parigi nel 1993. La sessione dedicata all’informazione produsse un documento molto interessante che si potrebbe riassumere così: i mezzi d’informazione funzionano obbedendo agli ordini dei potenti che questi mezzi possiedono e il destinatario è il pubblico che viene considerato passivo, anche se poi passivo non è, nel senso che l’informazione non vera, l’informazione falsa è dannosa per le persone, produce stress e malattie anche organiche e porta le persone stesse a reagire spesso irrazionalmente o nevroticamente.
Ma questo ai padroni dell’informazione non interessa, interessa solamente che questo servizio, in potenza fondamentale per il benessere dei cittadini, serva bene ai loro interessi spesso sporchi e irresponsabili. Le leggi del cosiddetto “libero mercato” ostacolano dunque la salute del genere umano.

D’altra parte molti fatti dimostrano che le cose stanno così. In realtà l’informazione viene data solo nel modo che conviene ai potenti e secondo calcoli ben precisi, infatti tutto viene quantificato, mercificato e monetizzato violando i più elementari diritti del cittadino: per esempio, sempre ritornando al caso dell’influenza che è il pretesto dal quale siamo partiti, attualmente nei paesi più sviluppati ci si sta preoccupando del fatto che l’affare farmaceutico danneggi molti altri affari in misura di giornate lavorative perse, per cui si sta cercando di trovare rimedi farmaceutici alternativi e si informeranno i cittadini con qualche altra menzogna; ad esempio che è bene prendere il farmaco ics perché permetterà di curarsi senza perdere giornate lavorative. Questo in parte già avviene. Molti avranno fatto caso che questo tipo di medicinali già viene pubblicizzato: è nota la pubblicità di quei prodotti farmaceutici che promettono guarigioni miracolose in tempi rapidi: spesso nello spazio di tempo di avere una bella tazza di acqua calda per ingurgitare una pillola o uno spruzzo di chissà che cosa per rimettersi in sesto in cinque minuti o dopo una bella dormita. Il doppio inganno sta nel fatto che si presenta questa medicina come miracolosa e per superare un malessere che ci impedisce di andare a ballare, a divertirci, a passare una giornata di vacanza, ma che, in realtà, ci viene proposto per andare a lavorare anche se siamo indisposti.

Tutto viene quindi quantificato e monetizzato con criteri irresponsabili, cinici e spesso razzisti. Infatti nel settore dell’informazione (che, come vedremo, è quella che è monopolizzata dalle poche grandi agenzie dei paesi più sviluppati) la vita di un boliviano non vale quella di un brasiliano, quella di un africano non vale quella di un argentino, ma quella di un brasiliano e di un argentino non valgono quella di un europeo o di uno statunitense.

Negli anni sessanta molti enti o agenzie giornalistiche o agenzie di indagine furono investiti da una valanga di denaro allo scopo di studiare i modi per ottimizzare i nuovi potenti mezzi d’informazione (specialmente la TV) e renderli funzionali alle solite esigenze della massimizzazione del profitto. Tutto venne perciò valutato e quantificato alla luce di questo parametro e l’informazione accentuò così sempre più la sua connotazione mercantilista. Singolare, ma emblematica, fu una ricerca condotta da alcuni giornalisti di una rete televisiva americana dal titolo “Scala di Equivalenza Razziale”. L’obbiettivo era quello di stabilire il numero minimo di morti in un incidente perché il fatto potesse essere considerato negli USA “notizia” e di quale importanza. Non si pensi comunque che un simile pensiero sia da considerarsi estremo, al limite, anzi possiamo affermare con certezza che questo è il metro che, consapevolmente o inconsapevolmente, viene adottato da tutti gli organi della comunicazione di massa. Quanti morti, ci si chiedeva in queste “ricerche”, in un’alluvione o in un terremoto o in una strage avvenuti in Vietnam (tanto per fare un esempio) equivalgono quella di un morto negli USA o in Europa? E quante decine di milioni di vittime sono necessarie in un qualsiasi paese dell’Africa Centrale per meritare tutto lo spazio che, la vicenda della strage casalinga di cui fu imputato il giocatore di football O.J. Simpson, ha occupato nei giornali e nelle reti televisive di tutto il mondo, tenendo oltretutto conto che in molti paesi lo stesso giocatore era pressoché sconosciuto?

Per dare un’idea di come funzionano le cose nei mezzi d’informazione di tutto il mondo, posso riferire di alcuni fatti relativi ai notiziari televisivi italiani nel periodo 1984/85.
Nel 1984 in Italia imperversò per un certo periodo una violentissima polemica politica sull’affare degli aiuti al terzo mondo; gli accusatori di quei politici che avevano truffato, per far risaltare meglio le loro accuse, sfruttarono, strumentalizzandole, la disastrosa carestia e la fame conseguente che si aggravò nel Sahel. Il diritto al sostentamento di quegli esseri umani (riconosciuto ampiamente dalla “Carta dei Diritti Umani” dell’ONU), ma violato in maniera cinica e irresponsabile da tutte le nazioni cosiddette civilizzate, ora rimbalzava nelle cronache dei giornali e delle televisioni. Agli affamati del Sahel, invece che mezzi per contrastare la carestia, fu dato“largo spazio” nei notiziari. Tutta l’opinione pubblica fu toccata dalle immagini di questi poveretti che chiedevano cibo e acqua; le immagini più strappalacrime furono trasmesse allo scopo di rendere ancora più sconvolgente e dura l’accusa fatta a quei politici di aver rubato i soldi destinati alla cooperazione internazionale. Ma una volta terminato questo scontro di politica interna i telegiornali, i radiogiornali e i giornali finirono di dedicare attenzione a quelle a quelle povere vittime africane, gran parte delle quali erano bambini. La polemica violenta fra i partiti italiani si era smorzata, ma la fame nel Sahel continuava e continua (là e in tante altre parti del mondo) a mietere milioni di vittime e le immagini dei poveri disgraziati africani svanirono nel nulla come d’incanto; la gente ebbe l’impressione che il problema fosse stato risolto improvvisamente per merito di un mago con la bacchetta magica.
Qualche anno dopo riemerse la necessità di riprendere il tema della fame in modo strumentale e le immagini riapparvero all’improvviso ancora più crude e drammatiche di un anno prima: fummo inondati di immagini di bambini con le pance gonfie, gli arti rachitici e gli occhi strabuzzati. Perché accadde tutto questo? Perché si doveva giustificare l’imminente “missione umanitaria” in Somalia da parte di truppe dell’ONU. Anche queste immagini scomparvero quando i militari americani si ritirarono in quanto la situazione in Somalia divenne talmente intricata che nessuno ci capì più niente.

Più in generale in quel periodo, ma le cose oggi non sono cambiate, la presenza delle notizie riguardanti il complesso dei paesi africani nei telegiornali e nella stampa italiana in generale si aggirò intorno al 2% del complesso delle notizie riguardanti i paesi sviluppati. Ma non si tratta di un fenomeno soltanto italiano; nel 1989 la Visnews (la più importante agenzia di immagini che raggruppa Reuter, Bbc e Nbc) produsse circa mille servizi sull’Africa, ma di questi solo undici vennero acquistati dalle TV dell’occidente.

Si tratta, come è stato rilevato più volte, di un altro aspetto deleterio dell’informazione: quella che molti hanno definito “informazione a senso unico” (one-way flow of information) dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati. Questa informazione avviene comunque sempre con l’intento di dipingere i paesi più sviluppati come qualcosa di paradisiaco, dove qualche volta accadono anche brutti fatti, ma dove nel complesso si vive benissimo e felicemente e tutto è molto bello! Purtroppo molti di coloro che dai paesi sottosviluppati si dirigono verso questi presunti “Eldorado” occidentali, si devono ricredere e subiscono molte delusioni.

Ma dire che “l’informazione a senso unico” è quella che va dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati, oggi non è più esatto, perché anche fra i paesi sviluppati vi sono paesi che non “confezionano” l’informazione. L’Italia, ad esempio, è fra questi ultimi, le sue agenzie d’informazione sono delle cenerentole rispetto alle grandi agenzie di informazione che operano nel mondo. Infatti più dell’80% del volume delle notizie del mondo è “confezionato” da quattro grandi agenzie: l’United Press International, l’Associated Press,, la Reuter e l’Agence France Press. La sovietica Tass, che pure produceva tante notizie, è scomparsa dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, anche se una vera e propria agenzia non è mai stata, si trattava piuttosto di una rete che serviva più al KGB che ai giornali, e si atteneva più a necessità di propaganda che d’informazione.

La UPI (United Press International) americana fornisce notizie a cento paesi con un flusso di quattordici milioni di parole al giorno; l’AP (Associated Press) con sede a New York (quindi anch’essa americana) fornisce notizie a centododici paesi in sei lingue per un totale di circa due milioni e mezzo di parole al giorno; la Reuter con sede a Londra trasmette in dodici lingue per un totale di di cinque milioni di parole al giorno; AFP (Agence France Press) francese trasmette in centoquarantaquattro paesi un milione di parole al giorno. Non c’è dunque concorrenza rispetto a questi grandi mostri, i tentativi di arginare questa valanga di parole, non hanno storia. Tanto per fare un esempio la IPS (Inter Press Service), agenzia con sede a Roma e nata come cooperativa fra i giornalisti del sud del mondo e specializzata nell’informazione sui paesi del Terzo e Quarto mondo, trasmette solo centosessantamila parole al giorno, una goccia rispetto alla valanga di parole delle quattro grandi. Come si vede gli statunitensi fanno la parte del leone. Questo succede anche nella TV: i programmi vengono forniti principalmente dagli USA i quali importano solo il 2%. Fra i paesi del sud che esportano vi sono il Brasile e il Messico specializzati in telenovelas. Comunque l’America Latina compra tre quarti dei suoi programmi dagli USA e l’Africa ne importa solo dagli Stati Uniti il cinquanta per cento.

In questa situazione, come si può ben capire, essere informati non significa sapere ciò che è realmente accaduto e che realmente accade; ciò che arriva nelle case di miliardi di persone è ciò che una certa cultura prevalente (sarebbe meglio dire ciò che il potere prevalente) vuole che arrivi. Siamo ben lontani dal sogno di McLuhan del “villaggio globale” della comunicazione. Anche se il progresso tecnologico, i satelliti, l’informatica con internet rendono possibile una cosiddetta informazione in tempo reale, questa informazione rimane comunque dominata dai grandi colossi che possono inondare di parole tutto l’etere. Che peso può avere una sparuta notiziola, magari vera, nell’oceano di notizie che comunque le grandi multinazionali, attraverso i loro potenti canali, continueranno a sfornare?

La “one–way flow of information” è ben lontano dall’essere modificata. Questo ha portato, in tutti i paesi del pianeta, a ripiegare su un provincialismo che privilegia l’informazione a livello nazionale e locale. In Italia i telegiornali nazionali delle grandi reti sono otto (tre della RAI, tre di Mediaset, uno di TMC e uno de La7) e quasi per l’80% concentrati sulle questioni interne (prevalentemente politiche) con la consueta noiosa e inutile passerella di personaggi della maggioranza e dell’opposizione, e poi esistono innumerevoli telegiornali locali che ripetono lo stesso clichè a livello inferiore; un’informazione prodotta da un paese come l’Italia difficilmente può varcare i confini nazionali e influenzare altri paesi.

Ma ciò accade in tutti i paesi del mondo eccetto naturalmente quelli rappresentati dalle grandi agenzie di stampa: USA in prevalenza che intendono esportare un modello di società americana. Si privilegia dunque la notizia interna e per ciò che riguarda le notizie esterne vi è una perfetta omologazione dato che le fonti scritte, come abbiamo più volte ripetuto, sono ridotte alle quattro agenzie summenzionate e che le fonti visive vengono prodotte dalla Visnews, dalla World Television News, dalla CBS News International e dalla Cnn tutte statunitensi o anglofone. Gli analisti mettono in evidenza che ciò produce una visione del mondo attraverso la lente occidentale, ma questa a mio parere è una constatazione molto parziale e inesatta: non si dice cioè che il modo di fare informazione non solo propone un modello culturale unico (quello statunitense), ma anche un modello funzionale alle esigenze di profitto delle grandi multinazionali che hanno bisogno di rendere acritici, omologati, assuefatti e privi di coscienza i popoli di tutto il mondo diffondendo la convinzione che l’informazione che ci viene veicolata coincida con la realtà delle cose, che l’immagine che si dà della Terra coincida veramente con quello che è questo pianeta e che la conoscenza che si recepisce delle cose rappresenti neutralmente le cose stesse. Questa illusione oggi si è ancora più rafforzata in quanto, la teorica potenzialità tecnologica (con internet principalmente) viene confusa con una maggiore possibilità di intervento (anche del singolo) nell’elaborazione della notizia (maggiore democrazia e obbiettività) e con la concreta possibilità di addivenire ad un contatto diretto e in tempo reale con la realtà, come cioè se vedessimo con i nostri occhi e sentissimo con le nostre orecchie. Ma non è così: la piccola goccia di un intervento singolo in internet non potrà mai competere con lo sconfinato oceano dell’intervento delle grandi agenzie (multinazionali) e la realtà è talmente vasta e ricca che non potrà mai essere rappresentata con obbiettività.

In ogni caso l’informazione non potrà mai essere come vedere con i propri occhi e udire con le proprie orecchie, non potrà mai essere una “presa diretta” dei nostri occhi e delle nostre orecchie: essa sarà sempre un punto di vista, un’opinione di qualcuno. I computers, i chips, le fibre ottiche, i satelliti, tutti strumenti che aprono senza dubbio immense opportunità ai singoli, ma non dimentichiamo l’aspetto più preoccupante: proprio quegli strumenti rafforzeranno la capacità dei potenti di influenzare e addormentare a loro piacimento le popolazioni.

Per le piccole realtà imprenditoriali e ancor di più per il singolo individuo influire sulla formazione di un’opinione sarà praticamente impossibile. Basta mettersi davanti a un computer (e questo è già un primo problema da risolvere: avere le possibilità di acquistarlo) che ci rendiamo conto che occorre avere internet e, per averlo, occorre pagare anticipatamente un pedaggio al casello di entrata; in seguito si dovrà affrontare il percorso e fare soste negli svariati “autogrill” delle autostrade dell’informatica. E dopo aver fatto tutto questo, che ha un costo non indifferente, sorge il problema più importante: a chi credere? E naturalmente finirà per prevalere la solita logica che il più forte, il più presente, il più rappresentato, il più ricorrente nelle citazioni di altri, finirà per essere il più credibile e tutto procederà come prima, con un arma in più in mano ai potenti: una più grande opportunità di illudere e manipolare le coscienze.

Gli entusiastici pronunciamenti su questi nuovi sistemi di comunicazione non rappresentano altro che la consueta retorica dei “maitres a penser” asserviti ai diversi potenti che diffondono l’idea che la rete dei computer “non ha né un padrone né un controllore” che “internet è anarchica, ma anche democratica” come ha scritto il “New York Times Magazine”, che “segna non l’inizio di un’era autoritaria, ma la sua fine” come ha affermato “Harper’s Magazine”, che si sono realizzate le condizioni in cui “ognuno ha potenzialmente il diritto illimitato a esprimersi e a cercare informazioni su qualsiasi argomento”come ha notato “Us News & World Reports”. Non vi sembra sospetto che tutti questi servitori “autorevoli” pagati profumatamente dai potenti del mondo, siano così entusiasti di questa ipotetica liberalizzazione democratica degli esseri umani?

“Queste entusiastiche definizioni – come ricorda il giornalista Claudio Fracassi in un suo lavoro sull’informazione – ricordano troppo quelle analoghe, che hanno accompagnato la nascita del telegrafo o della ferrovia come strumenti di ‘definitiva liberazione dell’umanità’, per non essere quantomeno dubitabili”. Vi pare che questi sistemi di comunicazione possano aver trovato la luce e i finanziamenti necessari, possano essere stati ammessi alla fruibilità di tutti gli esseri umani senza un preventivo calcolo di convenienza e la preventiva autorizzazione delle grandi centrali del potere?

Dunque non ci illudiamo: la “presa diretta” (vedere con i propri occhi e udire con le proprie orecchie) non sarà mai praticabile, anche perché l’immagine della cosa non è comunque mai la cosa stessa, ma sempre una nostra interpretazione, e l’informazione rimarrà sempre e comunque l’opinione di qualcuno o una parte della verità: la verità relativa all’angolazione da cui ho potuto assistere all’evento. Per questa ragione i giornalisti dovrebbero poter godere della massima libertà di espressione e non essere soggetti alla censura o all’approvazione del padrone del giornale o del mezzo di comunicazione, ciò per meglio garantire il diritto ad una informazione veritiera e obbiettiva di tutti i cittadini del mondo. In questo senso l’indicazione scaturita dal convegno di “STOP alla distruzione del mondo” di formare tante piccole imprese di divulgazione potrebbe essere un mezzo valido per contenere lo strapotere delle grandi multinazionali; ma la principale arma di difesa da questo strapotere che l’essere umano possiede e che nessuno può portargliela via rimane sempre la stessa da quando l’essere umano è esistito: la voce interiore.

È senza ombra di dubbio necessario che si potenzi una presenza democratica, civile, giusta e onesta fra le voci che provengono dall’esterno, ma occorre un maggiore impegno e incisività per migliorare la capacità di ogni essere umano di poter “vedere” e “sentire” con i propri occhi e le proprie orecchie e questo lo si può raggiungere se ci si avvicina sempre più a quella voce interiore potenziandola, se si tolgono i veli che con la nostra attitudine invertita vi abbiamo posto sopra, se ci ricongiungiamo alla vera, unica e insostituibile qualità dell’informazione: la Verità, quella Verità Assoluta che esiste, a dispetto di tutte le discettazioni di filosofi laicisti e teomaniaci, e che ci mette in grado di poter vedere e sentire tutte le altre verità.

Se riuscissimo a rafforzare la nostra coscienza allora ci accorgeremmo che tutti i tentativi di disonesta informazione (meglio chiamarla disinformazione) sarebbero vani e non otterrebbero effetto alcuno.